Un Leopardi "irreale" che non è piaciuto
Non è piaciuto il Leopardi che la Rai ha dato in miniserie gli scorsi 7 e 8 gennaio. I più non hanno apprezzato l'audio, qualcuno ha notato che i luoghi raccontati non sempre corrispondevano a quelli reali... ai più attenti, a quelli più addentro alla materia non è piaciuto il personaggio inventato, irreale, proposto nella miniserie, che poco o nulla ha a che fare con quello che da sempre si incontra nei libri di scuola.
Dure le parole di Giancarlo Visitilli, docente e scrittore: "Rincoglionito, sessuomane e un eterno mortifero disturbato. Vecchio tutto e didascalico. Rubini è un grande attore ma un pessimo regista. Da quarant'anni leggo studio e insegno anche Leopardi: lui se n'è inventato uno molto simile ai rapper italiani: gli mancava solo la striscia di coca…lo ha ammazzato più di quanto lo abbia ammazzato la scuola italiana in due secoli".
Tra gli altri, ha fatto sentire la sua voce anche Pier Paolo Giannubilo, docente e scrittore, che ha proposto una riflessione sulla necessità di rispettare la storia "Gacomo Leopardi era deforme, - ha scritto - aveva una gobba davanti e una dietro. Era brutto. Puzzava. A Napoli lo chiamavano con un misto di crudeltà e simpatia "il ranavuottolo", ovvero "il rospo". Soffrì dall'infanzia alla morte in modo indicibile per una messe di malattie e disturbi debilitanti che avrebbero abbattuto anche un cavallo da tiro - figuriamoci un essere gracilino e fragile quale era Giacomo. E questo suo stato, checché ne dicesse comprensibilmente lui, comprensibilmente stizzito dal perpetuo scherno altrui, ha avuto un impatto tremendo e influenzato in modo decisivo la sua visione del mondo e il suo sistema filosofico.
Cosa "non era", invece, Leopardi? Non era un bel damerino azzimato, lindo e pinto, non era "un'icona-pop" come programmaticamente lo hanno voluto rappresentare nel film "Leopardi il poeta dell'infinito", che ho guardato ieri e l'altro ieri su Rai 1.
Era tutto il contrario di una icona-pop. Era un genio inarrivabile dal pensiero sconveniente e dirompente. Il più grande poeta italiano di tutti i tempi e un testimone alato dello scandaloso "vero". L'ultima cosa che gli poteva passare per il cervello era voler piacere a tutti e far scattare nei suoi ammiratori meccanismi di identificazione.
Il confronto con il superbo "Il giovane favoloso", con un favoloso e superbo Elio Germano, per i lettori e gli amanti di Leopardi e del cinema è impietoso. Rispetto al capolavoro di Martone, la fiction Rai, purtroppo, rischia di fare la figura di una telenovela turca di quelle che spopolano oggidì, particolarmente adatte ad agevolare il ruttino postprandiale e/o la pennichella.
Intendiamoci: parecchie cose mi sono piaciute, sono stato contento di vederlo, l'ho seguito con interesse, e sono stato ancor più contento, da docente e scrittore, del 25 per cento di share ottenuto dal film in prima serata. L'operazione è benemerita, perché ha avvicinato al pubblico e rilanciato una figura di prima grandezza.
Ma quando ti confronti coi giganti, la filologia non è un optional. E se la fai fuori dal vaso, le critiche sono legittime, e le devi accogliere.
Il messaggio parte dal corpo. E non si può applicare al corpo e al volto di Leopardi un filtro instagram come è stato fatto, trasformandolo in un graziosissimo ragazzino dei giorni nostri dalle spalle strette tutto balbettii e insicurezze (gli sfondi paesaggistici posticci come le scene di cartapesta delle recite di Natale alla scuola primaria acuivano non poco questo senso di affettata teatralità).
Bisogna smetterla di proporre il biondo Achille omerico nero come nella serie BBC "Troy": il blackwashing politicamente corretto si sta trasformando in una perversione, non in uno strumento di inclusività.
Bisogna smetterla di far credere che i nobili e i reali dell'800 inglese erano neri, come in "Bridgerton", perché, se non stai facendo un fantasy, è un falso storico che va oltre l'inconsapevole parodia. Bisogna smetterla con gli Agamennone e i Menelao transgender. Basta coi maquillage. Le storie del passato vanno raccontate come erano, non come avreste voluto che fossero. Se no, le trasformate in favolette ideologiche e come tali il pubblico più accorto le snobberà con tanto di sbadigli.
Anche la storia di un Leopardi "ripulito" degli aspetti più disturbanti, più che una "rilettura", è un'operazione di estetica forzata. E "l'estetica", come diceva qualcuno, "senza etica, è cosmetica".
Io lo tengo sempre davanti a me, il nostro Giacomo, - ha concluso Giannubilo - quello "vero", bello nella sua spigolosa, goffa, brutta disarmonia. Lo tengo davanti a me come un nume tutelare: questa anima scheggiata è il mio maestro di verità, il nemico irriducibile di ogni edulcorazione".