Testimoni del pensare e riprogettare. Il mio ricordo di Papa Francesco
di Giuseppe Lumia
Il Papa venuto da lontano, quasi dalla fine del mondo, ci ha lasciato. Sentiamo in tanti un vuoto dentro, fin dall'annuncio della sua morte si è diffusa una profonda tristezza. Era necessaria una sua presenza ancora per qualche anno, per consolidare il rinnovamento da Lui avviato all'interno della Chiesa e per accompagnare ancora per un tratto l'umanità lungo le sfide più drammatiche che sono in corso.
Ma questo è anche il tempo per gioire, nella consapevolezza dell'importanza del Suo innovativo pensiero e del Suo infaticabile impegno, che possiamo sintetizzare con una frase: Papa Francesco ha squarciato i tanti veli che coprivano il nostro sguardo, soffocavano il nostro cuore e disorientavano le nostre menti.
Eh sì, è un Papa che ha fatto cadere il velo del "dio potere", del "dio denaro", del "dio dell'esclusione", in modo da liberare gli occhi e consentirci di vedere chiaramente la radice dei vari mali che ci affliggono, per sciogliere i cuori di pietra e rigenerare sane passioni e condivisioni ideali, per risvegliare le menti e renderle capaci di consapevolezza e progettualità verso cieli e terre nuove, per rimettere in cammino le gambe della solidarietà e della prossimità, per scuotere le classi dirigenti e incalzarle sulle istanze decisive della Pace, della Giustizia, della Salvaguardia del Creato.
Mi piace raccontare Papa Francesco attraverso la mia esperienza e la percezione che ho avuto del Suo pontificato.
Il 13 marzo del 2013, ero nel mio ufficio al Senato, seduto alla scrivania e intento a leggere, scrivere, definire norme, sistemare interventi, riflettere sulle scelte da compiere. Tutto ad un tratto, avvertii una certa inquietudine che stranamente mi allontanava dal lavoro: per me, infatti, era quasi impossibile che qualcosa mi distraesse dall'impegno, di qualunque genere, sia che si trattasse del lavoro nelle aule parlamentari sia che incontrassi persone, in ufficio o anche in strada. Eppure avvertivo forte quel sentimento che cresceva nel mio cuore e compresi che quella volta dovevo ascoltarlo e assecondarlo. Subito pensai al Conclave che era in corso: il mondo era in attesa della scelta solenne del nuovo Papa. La Chiesa di quel tempo era in un vortice di crisi raramente così grave, che rischiava di travolgere la sua stessa credibilità e il suo futuro di "magistra". Anche l'umanità viaggiava inesorabilmente verso il buco nero della violenza, dei conflitti, delle disuguaglianze, della rovina ambientale, delle mafie, delle discriminazioni, delle dipendenze. Era necessario ripensare e riprogettare idee e percorsi, ispirazioni e modelli con una scelta di un Papa in grado di riportare la Chiesa nel cuore del Popolo di Dio e di riorientare valori e opzioni senza integralismi e chiusure nelle facili nostalgie del passato.
Nel frattempo giungevano notizie di un Conclave senza pronostici, con un'incertezza molto elevata. Un Papa si era appena dimesso. Lo shock era ancora palpabile e lo smarrimento si abbatteva sui fedeli come il vento gelido che sferza il volto. Papa Benedetto XVI aveva avuto l'umiltà e il coraggio di fare un passo indietro prima che si potesse rovinare il senso più profondo dell'essere Chiesa posta alla sequela di Cristo, chiamata a dialogare con le diversità culturali e religiose e in grado di fare proprie le ansie e le speranze più importanti del nostro tempo.
Alzai lo sguardo sullo schermo della televisione per ascoltare meglio le ultime notizie degli inviati in Piazza San Pietro. Dalle loro parole non traspariva alcuna certezza, molti rinviavano alle votazioni del giorno dopo. La fumata bianca non era prevista per quella sera di mercoledì 13.
Tuttavia, continuavo ad avvertire forte la spinta a lasciare in asso le mie incombenze per recarmi in Piazza San Pietro, in attesa dell'ultima votazione della giornata. Scelsi di rompere l'incertezza e avvisai la scorta che stavo scendendo per andare incontro al nuovo Papa. Forse pensarono che ero impazzito o che magari avessi avuto qualche notizia in anteprima, chissà…
Il tragitto dal Senato a San Pietro è breve. Partimmo in macchina, il silenzio sembrava una preghiera piuttosto "densa" e rumorosa.
Giunti nei pressi di Via della Conciliazione, proseguimmo a piedi, con passo piuttosto veloce, non coerente con quanto avevo imparato da bambino sulla necessità di mantenere compostezza e quindi un passo calmo e regolare quando si calpesta un luogo religioso come il sagrato di una Chiesa.
Giunto all'ingresso del Colonnato del Bernini, mi fermai improvvisamente, come se avvertissi che non si potesse superare quella soglia. Ci posizionammo in modo da vedere bene la canna fumaria e a quel punto il capo scorta iniziò a pormi una serie di domande: secondo lei lo eleggeranno davvero stasera e chi sceglieranno? E sciorinava una serie di nomi indicati come possibili eletti, soprattutto sui social. Risposi, senza usare un tono supponente, che ero convinto che il Papa sarebbe stato eletto quella sera e che secondo me sarebbe stato scelto un cardinale proveniente dall'America Latina.
In quel continente, infatti, è concentrata una larga porzione dei cattolici nel mondo e si è negli anni sperimentata pure nella dimensione quotidiana un liberante approccio di fede. La cristianità europea è devitalizzata e ripiegata verso la secolarizzazione, non è capace di ritrovare un senso profetico avanzato e di apertura missionaria, oscillando così tra una rinunciataria omologazione al presente e un rifugio nello sterile integralismo rivolto al passato. Nelle comunità cristiane dei Paesi latinoamericani, la fede ha dovuto confrontarsi con tutti i miasmi dell'epoca moderna: lotta contro le ingiustizie e per la tutela dei diritti umani, il contrasto alle disuguaglianze, il bisogno di emancipazione per passare dalle dittature violente alle democrazie in cammino. Nella Chiesa latinoamericana, si sono affermati pensieri teologici e pratiche pastorali che hanno saputo trovare l'equilibrio tra la fede popolare incarnata nelle tradizioni e la fede liberante ed emancipante annunciata dal Vangelo. Non è stato un percorso lineare e facile; al contrario, quelle comunità hanno dovuto soffrire le pene più severe per trovare il linguaggio teologico per dire Dio e individuare le prassi pastorali adeguate al crescere e maturare insieme.
Mentre aspettavamo e discutevamo, ricevetti la telefonata di tre miei cari amici, Nicola, Giovanni e Salvatore. Erano arrivati all'aeroporto di Fiumicino ed erano in procinto di raggiungermi, ma senza fretta perché anche loro sapevano dalla televisione e dalla stampa che l'appuntamento con la fumata bianca era previsto per il giorno dopo. Li spronai invece a fare presto. Non so che cosa pensarono ma si fidarono di me e arrivarono appena in tempo: all'unisono, volgemmo lo sguardo sulla canna fumaria della meravigliosa Cappella Sistina, senza riuscire a staccarlo neanche un attimo da quell'angolo stretto dell'immenso prospetto, e ad un tratto il comignolo iniziò ad emettere del fumo. Sgranammo gli occhi con il fiato sospeso: è bianco, forse no, ma sì, è bianco! Esultammo e iniziammo ad abbracciarci felici e pieni di adrenalina. Dopo pochi istanti, iniziarono ad arrivare frotte di persone. La notizia correva a velocità supersonica.
Tutti insieme iniziarono a incalzarmi su chi potesse essere il nuovo Papa e quale nome avesse scelto. Alla prima domanda non sapevo rispondere, ma mi auguravo che fosse appunto latinoamericano. Alla seconda domanda, risposi che mi avrebbe fatto molto piacere la scelta del nome "Francesco". La Chiesa era in piena tribolazione e aveva bisogno più che mai di una radicale rigenerazione e il francescanesimo rispondeva appunto a questa esigenza. Farsi Chiesa dei poveri e dell'ambiente era "un'utopia necessaria", una conversione al Dio che ama la Terra e vuole una relazione di amore liberante con le donne e gli uomini che fluiscono nella storia globale e locale.
La gente riempì rapidamente la grande piazza, mentre si affrettavano i preparativi sul balcone centrale della facciata della Chiesa di San Pietro.
Il brusio era forte, dilagava a ondate, con un groviglio di dialetti e lingue più diverse, quasi a comporre una babele delle differenze. Tutto ad un tratto cessò e tornò la quiete affascinante del mare calmo. Da Babele si passò alla Pentecoste dello stare insieme in una dimensione comunitaria: entrò in scena il Cardinal Camerlengo per annunciare con la frase di rito: "Habebus Papam!". Quando citò i nomi "Jorge Mario" e subito dopo il cognome "Bergoglio", scattò l'applauso, con un misto di sorpresa e compiacimento. Ma quando il Cardinale scandì il nome di "Francesco", esplose la gioia. Era il cardinale argentino, quello che era già un consistente papabile nel precedente Conclave che aveva eletto Papa Benedetto XVI. Poi apparve la sua figura vestita di bianco. Quando il Papa iniziò a parlare, l'attenzione dei fedeli in piazza era carica di attesa, poi pronunciò quella frase rimasta famosa, sui suoi confratelli cardinali che sono andati a prenderlo fino ai confini del mondo, e la tensione si sciolse, la gioia riempì i cuori, l'empatia prese il sopravvento, le lacrime di commozione iniziarono a scorrere irrefrenabili.
Papa Francesco fin da subito mise le cose in chiaro, presentando tre direttrici strategiche del suo pontificato e una modalità peculiare.
Innanzitutto, voleva che la Chiesa fosse povera tra i poveri e proprio per questo aveva scelto il nome "Francesco". Ha quindi inteso attuare la scelta del Concilio, ben tradotta teologicamente dalla mirabile enciclica "Populorum Progressio" di Paolo VI del 1967. Diede subito l'esempio personalmente, andando a vivere a Santa Marta, in una dimensione comunitaria, e mantenendo un atteggiamento sobrio nella scelta delle scarpe e degli abiti da indossare e della macchina con cui spostarsi. Ha cambiato la gestione delle finanze interne al Vaticano, ha introdotto norme severe sul riciclaggio, sugli appalti e sugli acquisti, sulla finanza e sui possedimenti clericali. Si è proiettato nella causa dei poveri a tutti i livelli e in ogni realtà geopolitica. Ha fatto della difesa degli immigrati una scelta convinta e attiva, recandosi da subito a Lampedusa, per dare concretezza alla promozione dei diritti umani. L'impegno per i poveri ha poi trovato nell'enciclica "Fratelli tutti" una magistrale indicazione.
Ha spiegato che l'ambiente è centrale anche per l'annuncio cristiano. La fede ama francescanamente la natura e vuole difenderla dalle aggressioni, dalle violenze e dalle speculazioni. Il cambiamento climatico e la dimensione ecologica sono entrate così nella vita teologale e pastorale delle comunità cristiane, con l'impulso che ritroviamo sistematicamente descritto nella straordinaria enciclica "Laudato si'".
Ha stabilito che la Chiesa dovesse fare proprio il Concilio Vaticano II senza esitazioni, nella sua versione liturgica, nella sua organizzazione interna, nei suoi percorsi educativi, nella promozione del laicato nei ruoli chiave, insieme alle donne, in particolare alle suore, affidando loro la direzione dei dicasteri più delicati.
Ha praticato il metodo sinodale, del dialogo collegiale interno ed esterno, dell'ascolto e del discernimento.
Ho avuto la possibilità di incontrare Papa Francesco tre volte. Il primo è stato ad una santa messa organizzata specificamente con i parlamentari. In quell'occasione, il Papa fu cordiale ma chiaro, pronto a dare una mano ma al tempo stesso deciso, esplicito nel suo intendimento di squarciare il velo del potere, che è in grado di oscurare anche il volto luminoso della Chiesa. Il rapporto tra la fede e la politica andava liberato dalle reciproche convenienze per essere affidato alla libertà reciproca nell'alimentare il "bene comune". La santa messa fu celebrata direttamente dentro la Basilica di San Pietro. Con il Suo avvento, finalmente sono stati messi da parte i rapporti con la politica lobbisti o integralisti, per lasciare spazio alla collaborazione e all'impegno plurale e condiviso, intorno alla ricerca della Pace, della Giustizia e della Salvaguardia del Creato.
Il secondo incontro avvenne sempre in Vaticano, quando i parlamentari della Commissione Antimafia furono ricevuti in udienza. Anche quell'incontro rappresentò il segno di una novità per la Chiesa, che andava avanti lungo la traccia lasciata da Padre Pino Puglisi, da don Peppe Diana e dalla scomunica lanciata ad Agrigento da Giovanni Paolo II nei confronti dei mafiosi. Successivamente, Papa Francesco farà un gesto inedito ricevendo i familiari delle vittime innocenti delle mafie, molti dei quali ancora senza verità e giustizia.
Il terzo incontro avvenne proprio a Palermo, per la celebrazione del venticinquesimo anniversario della morte di Padre Pino Puglisi. Anche con questa testimonianza, si spazzava via il negazionismo della presenza della mafia e con esso il più sottile e insidioso approccio del minimalismo o il devastante e antico collateralismo. La Chiesa si sentiva finalmente impegnata nel percorso di liberazione dalle mafie, per entrate in una vita di santità, come testimoniò anche la sua firma alla beatificazione di don Puglisi.
La sua visione mondiale ha sprovincializzato la Chiesa, l'ha resa meno eurocentrica e l'ha aperta al pluralismo delle culture e delle comunità locali. Tuttavia, il centro curiale del Vaticano ha sofferto le scelte di Papa Francesco, scatenando in diversi settori un'opposizione sorda, sottile e cinica: di fronte alla resilienza di Francesco, si è contrapposta una altrettanto determinata resilienza nell'attesa della sua fine. Nel frattempo, gli fu scatenata contro anche la subdola pratica del "mascariamento", adducendo presunte deviazioni dottrinali e inventando responsabilità pratiche nella gestione vaticana. Papa Francesco è sempre andato avanti, soffrendo ma senza abbandonare la Speranza, sia quando si è battuto per la Pace e contro la guerra, sia quando si è impegnato nella promozione delle ragioni degli ultimi, soprattutto degli immigrati, sia quando si è pronunciato sugli argomenti divisivi per eccellenza, come la questione della presenza nella Chiesa degli omosessuali e dei preti sposati, oppure i diritti civili e in particolare le unioni matrimoniali tra persone dello stesso sesso.
Alla Speranza Papa Francesco ha dedicato il suo ultimo Giubileo, quello che ha aperto e che purtroppo non potrà concludere. Ha vissuto così intensamente la Speranza da dedicarle anche l'ultima riflessione, letta nell'omelia della Santa Pasqua, davanti alle migliaia di fedeli che hanno gremito Piazza San Pietro. Come amava spesso fare, anche in quella occasione ha rotto le antiche maniere papaline ed è sceso tra la gente, per dare quello che il giorno dopo abbiamo capito che sarebbe stato il suo ultimo messaggio e l'ultimo saluto: coltivare la Speranza nel Cristo della Liberazione, della Misericordia e della Resurrezione.
