San Francesco: educatore di speranza

27.07.2024

di don Salvatore Rinaldi e Chiara Franchitti

San Francesco, si è fatto con la parola e con l'esempio, araldo di pace. Ai suoi frati raccomandava di essere miti, di non litigare, di non polemizzare. Egli volle essere profeta della non-violenza, ma più ancora un assertore della forza dell'amore, perché aveva saputo scoprire che la creazione è un tutt'uno, progettato da un Dio che è un Padre, e se tu anche ti presenti come lui disarmato e pieno di pace, la creazione ti riconosce e ti sorride. «Direi che Francesco d'Assisi è nel fondo di ogni uomo, toccato dalla grazia, come è nel fondo di ogni uomo il richiamo alla santità. E in tutti i tempi Francesco, pur essendo ben incarnato nella storia, lo puoi mettere fuori dalla storia. Lo puoi mettere coi primi cristiani itineranti per le strade dell'Impero Romano recando con sé la gioia di un messaggio veramente nuovo, lo puoi mettere nel medioevo come riformatore e restauratore di una Chiesa indebolita dalle lotte politiche e minata dal compromesso, lo puoi mettere al tempo del barocco a richiamare con la sua inusitata povertà e umiltà l'orgoglio dei chierici per il loro sacerdozio dominatore più che servo del popolo. Lo puoi mettere oggi come tipo dell'uomo moderno che esce dalla sua angoscia e dal suo isolamento per riannodare il discorso con la natura, con l'uomo e con Dio» (Carlo Carretto, Io, Francesco). 

Come trovare in noi la forza di credere alla possibilità di rinnovare il mondo, di ritrovare la pace e la gioia perduta, di risentire la speranza di costruire sulla roccia? Si potrebbe pensare che durante la vita non ci sia e non ci possa essere qualcuno che possa essere indicato come santo. Ciò però contrasta con molte esperienze ripetute nella storia della fede, con cui il popolo dei fedeli considera questa o quella figura santo/a per la sua testimonianza di fede, per la sua condotta, per la sua carità che appaiono eccezionali. Ci ha ricordato papa Francesco il 3 marzo 2015 nell'omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta: «Guai agli ipocriti che si comportano da finti santi». Quel giorno il pontefice ha detto un forte "no" a chi «dice le cose giuste, ma fa il contrario». Parlando della vocazione alla santità, papa Bergoglio in quell'occasione ha iniziato la predica osservando che «tutti siamo furbi e sempre troviamo una strada che non è quella giusta, per sembrare più giusti di quello che siamo: è la strada dell'ipocrisia». Invece, se si "impara a fare il bene", Dio «perdona generosamente» ogni peccato. 

Quello che non perdona è l'ipocrisia, «la finta della santità». La sporcizia del cuore non si toglie come si toglie una macchia: andiamo in tintoria e usciamo puliti... Si toglie col "fare": fare una strada diversa, un'altra strada da quella del male. «Imparate a fare il bene!», cioè la strada del fare il bene. E come faccio il bene? È semplice! «Cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova». Un grande dono del Concilio Vaticano II è stato quello di aver recuperato una visione di Chiesa fondata sulla comunione e di aver ricompreso anche il principio dell'autorità e della gerarchia in tale prospettiva: questo ci ha aiutato a capire meglio che tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità. Ecco che per essere santi non bisogna essere per forza vescovi, preti o religiosi... Tutti siamo chiamati a diventare santi! Tante volte, poi, siamo tentati di pensare che la santità sia riservata soltanto a coloro che hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Ma non è così!

Qualcuno pensa che la santità è chiudere gli occhi e fare la faccia da immaginetta, tutta così... No! Non è quella la santità! La santità consiste nel vivere con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno. E questo vale per tutti: parlare della santità significa parlare della necessaria diversità cristiana. Aver ricevuto il grande dono della fede significa essere stati costituiti custodi di una lampada che è stata accesa non per finire sotto un secchio, ma per illuminare tutto l'ambiente. Accanto all'iniziazione della diversità, nella catechesi e nella predicazione vi deve essere anche l'iniziazione alla testimonianza e alla missionarietà. Essere cristiano significa far parte di un popolo legato a Dio da un'alleanza che è in funzione della venuta del Regno di Dio tra gli uomini, a favore degli uomini, perché giungano alla maggior parte di loro le beatitudini del Regno. Ciò che è straordinario nel fatto del lupo di Gubbio non è che si sia ammansito lui, è che si sono ammansiti loro, gli abitanti di Gubbio e che davanti al lupo che si avvicinava infreddolito e affamato gli fossero corsi incontro non con le roncole e le accette ma con pezzi di cibo e polenta calda. Da tanti uomini e donne si avverte che trovano interessante solo la fuga o il desiderio di gustare qualcosa di nuovo, fosse anche pericoloso, e diventano disponibili a ogni tipo di avventura proibita. Anche i buoni vengono meno: le mamme si fanno assenti ai loro figli e i padri hanno sempre da fare qualcosa lontano da casa. 

È l'inizio della china e il risultato che è in noi e da cui non possiamo sfuggire è la noia, la sfiducia nella società e nel lavoro, l'aridità del cuore, l'ingordigia del piacere fisico come surrogato di valori ormai distrutti o compromessi. Il Vangelo è vero. Gesù è il Figlio di Dio e salva l'uomo. La non violenza è più costruttiva della violenza. Togliamoci di dosso la paura del fratello ma andiamogli incontro disarmati e miti. È un uomo come noi, bisognoso di amore e di fiducia come noi. Dice il Vangelo secondo Matteo: non preoccupatevi di «ciò che mangerete e di ciò che vestirete» (Mt 6,33) e tutto vi sarà dato per giunta. «Basta a ogni giorno il proprio affanno» (Mt 6,34). Francesco d'Assisi è modello di educatore alla sanità: «Educare è di per sé un atto di speranza, non solo perché si educa per costruire un futuro, scommettendo su di esso, ma anche perché il fatto stesso di educare è pervaso da essa. I maestri dovrebbero avere sempre presente l'enorme apporto che danno alla società in questo senso – nel consegnarci ogni giorno il loro agire con i nostri ragazzi, adolescenti e giovani – quell'indicazione fondamentale, quel segno redentore e salvatore della speranza, con la quale tutti i giorni distribuiscono il pane della verità, invitandoci tutti a continuare la marcia, a riprendere il cammino» (Papa Francesco, Agli Educatori, Lev 2014).

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