Raccontare la bellezza...
L'informazione ha la grande responsabilità di farsi formazione.
Raccontare la bellezza sembra essere passato di moda. Ovunque si poggi il nostro sguardo, ovunque si diriga la nostra attenzione, ci scopriamo circondati dal racconto del male. E anche quando raccontiamo il bene, c'è sempre chi riesce a sporcarne la freschezza. Mi hanno colpito molto le parole del direttore del quotidiano "Avvenire", Marco Tarquinio, che al festival della comunicazione dello scorso settembre ha detto: "Nel picco della pandemia, tutti dovevamo raccontare il male che accadeva ma anche ciò che di buono cominciava ad accadere. Ci siamo trovati all'improvviso con tanti concorrenti a fare il lavoro che facciamo ordinariamente".
Mi colpisce molto ogni giorno scorrere le bacheche dei Social Media, così come guardare i programmi in tv in questo tempo, sembra la mappa di un campo minato. Ogni tentativo di raccontare il vissuto si è facilmente trasformato in un processo, spesso alle intenzioni, con sentenze di condanna. Tutto e il contrario di tutto...sempre sbagliato. Indossare la mascherina fa bene, anzi no, fa male! Disciplinare gli orari dei negozi è un bene, anzi no, è la tomba dell'economia. Gli assembramenti vanno evitati, anzi no, anzi forse...anzi però voglio andare a sciare e così via... ed è stato così per tutto. Abbiamo purtroppo visto troppe volte l'informazione vestirsi dei colori della politica e farsi serva di chi quei colori indossava... spesso dimentica di essere "il cane da guardia", per rivestire i panni in un "cane da presa", riservando attacchi personali e spesso invadendo ambiti che nulla hanno a che fare con la verità dell'informazione.
La pandemia ha cambiato molto la vita del nostro paese, la vita di ciascuno di noi. Tutti ci siamo trovati di fronte alla necessità di fare delle rinunce, di ridisegnare la nostra vita, il nostro lavoro, persino i nostri affetti. Molti si sono trovati di fronte ad una realtà che non hanno saputo interpretare, lasciandosene avvinghiare. Molti altri hanno interpretato questo tempo con la superficialità di chi ostenta sicurezza in tutto e si sente autorizzato a fare tutto, spinto anche dall'imprudenza di chi invece avrebbe dovuto dare un esempio altro. Alcuni invece hanno rilanciato, non si sono fatti fermare. Penso e ripenso frequentemente, e ne prendo esempio, a due fratelli che pur appartenendo ad una delle categorie più colpite dalle restrizioni, quella dei pasticcieri, in piena pandemia hanno rilanciato, ingrandendo la loro attività.
Abbiamo, poi, assistito inermi alla morte di decine di migliaia di nostri connazionali, al dolore di uomini e donne che non hanno potuto nemmeno rivolgere l'ultimo saluto al proprio papà, alla propria mamma, al proprio coniuge, ad un figlio, ad un amico. Abbiamo assistito con rabbia al fallimento di tante attività commerciali. Abbiamo assistito e assistiamo, quasi impotenti, al teatrino di una politica che non riesce davvero ad interpretare appieno il suo ruolo. Abbiamo visto in nostri rappresentanti più preoccupati di "farsi le scarpe" l'uno con l'altro che non di mettere davvero "mano all'aratro" per dare una spinta ad un paese in grandissima difficoltà. Di contro abbiamo ammirato il coraggio e la dedizione di tanti uomini e donne che a spregio di qualsiasi rischio hanno dato tutto di sé per il bene di molti: medici, infermieri, parasanitari, uomini e donne delle forze dell'ordine, volontari, sacerdoti, insegnanti. Un esempio che abbiamo ammirato tutti e che però non è riuscito ad incidere come avrebbe voluto e dovuto...anche perché forse, o senza forse... al di là del dato emozionale non siamo andati davvero, ne abbiamo parlato troppo poco.
Abbiamo assistito nei giorni scorsi alla follia dei fatti d'America, l'emblema della democrazia, provocati dal delirio di onnipotenza di un uomo che ha perso del tutto il contatto con la realtà, che ha frainteso (e non da ora) il suo ruolo di Presidente confondendolo con quello di un monarca assoluto, che non ha saputo lasciar trionfare la bellezza della democrazia preferendo il lato oscuro del potere a tutti i costi.
Abbiamo capito in questo tempo che i media riescono ad interpretare l'anima del tempo che viviamo e che stare vicino alle persone cercando di interpretare i fatti può fare la differenza. E' grande la responsabilità di chi fa informazione, soprattutto in momenti così complessi. La pandemia ci insegna che non si può raccontare solo il male della società. Dobbiamo avere il coraggio di proporre il bene, di raccontarlo di promuoverlo in tutti i contesti.
L'informazione ha la grande responsabilità di farsi formazione, di essere fermento, di contrastare le spirali di odio che troppo spesso tentano (e a volte riescono) di prendere il sopravvento; deve avere il coraggio di raccontare il bene e il bello che ci abita. Allora, e solo allora, l'informazione avrà saputo assolvere davvero al suo compito nella società, comprendendo che comunicare è incontrare le persone come e dove sono. Nel contesto epocale che stiamo vivendo, così fortemente caratterizzato dalla "distanza", l'informazione può rendere possibile la vicinanza necessaria per riconoscere ciò che è essenziale per comprendere davvero il senso delle cose.
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