Perché l'Afghanistan non è arrivato alla democrazia
di Gian Marco Di Cicco
L'opinione pubblica mondiale, in queste ultime giornate, è scossa da un avvenimento storico, uno di quelli che resterà impresso nella memoria di una generazione e di cui i telegiornali di tutto il mondo continueranno a seguire gli sviluppi, ovvero il ritorno al potere dei Talebani e la conseguenze istituzione dell'Emirato islamico dell'Afghanistan, argomento di cui anche QuintaPagina ha dato eco.
È opportuno approfondire la storia recente di questo Paese, travagliata dal punto di vista politico - istituzionale, affinché si comprendano le dinamiche per cui uno Stato così cruciale nelle dinamiche geopolitiche del Medio - Oriente, non sia arrivato ad un upgrade democratico. Tale excursus inizia nei primi anni 90, importanti rispetto al rovesciamento degli equilibri internazionali tra USA e URSS, quando i mujaheddin riuscirono a creare un movimento di resistenza armata ai sovietici, sostenuti dagli statunitensi ma, già qualche anno dopo, nel 1996, un nuovo movimento politico e culturale, si affermò sullo scenario afghano, ovvero il gruppo dei Talebani.
Questi basavano la loro azione politica su elementi dell'Islam più radicale, andando contro qualsiasi forma di tutela dei diritti delle donne o dei bambini, costringendo la popolazione a vivere in un clima di perenne terrore e i talebani portarono ben presto l'Afghanistan in una logorante e drammatica guerra civile. La scia di tale azione bellica protrae fino ai primi anni del 2000 quando, gli statunitensi decisero di contrastare il regime talebano, responsabile di aver concesso ospitalità al mandante degli atti terroristici dell'11 settembre 2001: Osama Bin Laden. Dal 2001, con l'occupazione americana di Iraq e Afghanistan, si è arrivato ad uno sviluppo democratico del Paese mediorientale. Ciò ha favorito una sempre maggiore emancipazione femminile e un progressivo accesso alle scuole per le nuove generazioni. Il sacrificio per i civili afghani e per gli stranieri impiegati nella missione internazionale non è stato esiguo. Centinaia di donne e uomini hanno pagato con il sangue una libertà maggiore che rischia di diventare sempre più illusoria.
Pochi giorni fa, infatti, i militari e i diplomatici occidentali sono stati costretti ad una fuga eclatante, simile a quella da Saigon al termine della Guerra nel Vietnam, esponendo i civili locali ad una nuova presa di potere da parte dei talebani. Senza apparenti spargimenti di sangue, la milizia armata è entrata nella capitale Kabul e la comunità internazionale dovrà tenere conto delle conseguenze interne al Paese, nel contesto mediorientale e rispetto alle grandi potenze mondiali. I dubbi e gli interrogativi su tale manovra politica e militare sono molti e non mancano elementi su cui occorre fare chiarezza. Innanzitutto, bisogna considerare che decine e decine di civili hanno collaborato con la coalizione internazionale e sarebbe opportuno che gli stessi Stati occidentali per i quali hanno prestato servizio, si facciano carico della loro incolumità. Il vero segnale di una democrazia forte sta nel poter fare vivere gli stessi principi di libertà e di giustizia sociale in tutti i Paesi del mondo, piuttosto che cercare di esportarla con esiti dubbi. In secondo luogo, bisogna chiarire il ruolo di potenze come Cina, Turchia, Arabia Saudita e Russia e il confronto con la comunità europea, la quale dovrebbe farsi carico dell'incolumità dei profughi.
I nuovi miliziani sono professionisti della guerra, rispetto a vent'anni fa. Lo scioglimento dell'esercito afghano e la deposizione delle armi crea un clima di instabilità, sia perché il materiale bellico è a disposizione del nuovo governo sia perché le ritornino verso gli ex soldati potrebbero essere molto crude. In terzo luogo, dal punto di vista giuridico internazionale, ci si interroghi sul riconoscimento del nuovo Emirato islamico dell'Afghanistan. Il Canada già si è espresso in maniera negativa.
A termine di questa riflessione, il ricordo non deve venire meno verso i tanti caduti italiani. Sono convinto che il loro sacrificio non è stato vano, nonostante il rovesciamento di fronti, poiché molte donne hanno potuto vivere una vita normale, molti bambini sono potuti andare a scuola in questi anni e la cooperazione italiana è stata attiva soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione. La finta moderazione dei "nuovi" talebani è celata da rastrellamenti e arresti di donne e uomini innocenti che, in queste ore stanno resistendo a favore della libertà del proprio Paese. Poche ore fa, è stata rapita Salima Mazari, governatrice di un distretto afghano. Le sue parole, espresse appena una settimana fa, risuonano come un monito: "Se non combattiamo ora contro le ideologie estremiste e i gruppi che le impongono, perderemo la nostra occasione di sconfiggerle".
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