Le giare di Jeshua. Il romanzo di Cana
Domani chi andrà a messa ascolterà la lettura di uno dei brani più famosi di tutta la Scrittura, il racconto delle nozze di Cana. Uno di quei brani che da sempre in modo particolare hanno attratto la mia attenzione... ne è nato "Il romanzo di Cana"... A chi vorrà cimentarsi... buona lettura
di Paolo Scarabeo
Cana è una terra di ulivi, di pietre, di vigne e di stelle, di pastori, una terra d'angoscia dove i cuori maturano nell'attesa del Salvatore, una terra di aranci, di limoni, di speranze. È la mia terra. Quella dove sono nato, dove sono cresciuto e dove la mia vita ha avuto le sue prove. Sono il terzo di tre figli: Mosè, il più grande, poi Ram e io, Hesed.
La nostra vita non è stata molto fortunata. Dopo la morte dei nostri genitori abbiamo dovuto darci un bel da fare per mandare avanti la nostra casa. Mosè ha fatto il pastore, diceva che magari avendo lo stesso nome del nostro antenato e facendo anche lo stesso mestiere, Dio avrebbe potuto parlare anche a lui. È sempre stato una grande sognatore. Continuava a parlarci della liberazione di Israele come l'avesse già vista. Io e Ram invece siamo entrati nella servitù di Jeremias, un signore che abita non lontanissimo dalla nostra casa. Non è certo un grande lavoro, ma per noi va bene, ci garantisce il necessario per vivere. Di solito ci occupiamo delle greggi, ma anche della casa in genere. E poi ci vogliono un gran bene, e questo credo sia la cosa più importante.
Jeremias e sua moglie Anna hanno due figli, Natan, il primogenito e Ruth, una giovane molto graziosa, la metà dei ragazzi di Cana le corre dietro in cerca di fortuna, ma lei ha cuore e occhi solo per Jeshua, non parla d'altri, è incantata dai suoi insegnamenti e tutto ciò che egli fa e dice. Non ha tempo per nessun altro. Personalmente credo se ne sia innamorata, e vi dico la verità, quello che racconta di lui mi incuriosisce molto. Fatico a credere che possa esistere un uomo così speciale. Ma a lei non l'ho detto. Non voglio lo sappia. Soprattutto non voglio che si accorga di quanto sono geloso di lei. Mi piacerebbe un giorno sposarla, avere con lei dei figli, ma non ho il coraggio di dirglielo. È così presa da lui che ho paura di come possa reagire, ha anche chiesto a suo padre di invitarlo con sua madre e i suoi amici al matrimonio di Natan.
Lavorammo tantissimo per preparare quel gran giorno. Lo facemmo con grande entusiasmo, Natan era come un fratello per noi. Ram era molto bravo a lavorare il legno, preparò tutte le strutture perché il giardino fosse pronto ad accogliere tutti gli ospiti. Jeremias voleva che tutto fosse pensato nei minimi dettagli. Joakìm, il capo della servitù, era attentissimo a tutto. Ci chiese di dare tutto il meglio di noi stessi perché fossero giorni di festa indimenticabili. Natan continuava a parlarci di Rebecca, era innamoratissimo. Era così bello sentirlo parlare così.
Finalmente arrivò il grande giorno. Eravamo in fibrillazione. Natan era orgoglioso, finalmente era uomo. Stava coronando il suo sogno. Rebecca era bellissima.
Ruth era una gioia alla vista. Non riuscii a staccarle gli occhi di dosso. Continuavo ad immaginare me e lei e insieme mi dicevo "non illuderti Hesed, è troppo per te".
Intanto arrivò anche Jeshua con i suoi amici e con Miryam sua madre.
Furono giorni di festa memorabile. E credo che Ruth avesse davvero ragione, Jeshua aveva davvero un fascino straordinario. La sua presenza aveva un non so che di inquietante. Lo guardavano tutti.
Era bello vedere una festa così gioiosa. Jeremias ed Anna erano fieri del loro ragazzo e attenti a che tutto filasse dritto.
D'un tratto l'incanto sembrò spezzarsi. Durante la festa il capo della servitù ci chiamò ansioso, era molto, molto agitato. Mancavano ancora due giorni di festa e il vino era già finito. Jeremias era mortificato, non voleva che Natan se ne accorgesse ma non sapeva come fare. Si vergognava di dover correre a comprarne da qualche cananeo, ma maggiore sarebbe stata la vergogna se gli invitati fossero rimasti senza. Lo sappiamo bene, senza vino non c'è festa. Intanto si avvicinarono a noi anche Anna e Ruth e con loro c'era Miryam, la mamma di Jeshua. Ascoltò. Poi, senza dir nulla si avvicinò al figlio. La seguii con lo sguardo. Parlarono. Non so cosa si dissero, ma lei d'un tratto venne da noi e ci disse: "qualunque cosa vi dica voi fatela"! Poi carezzò il volto di Ruth, le sorrise e si allontanarono insieme. Jeremias non sapeva cosa dirci. Non capiva. Noi restammo stupiti dalla risolutezza con cui Miryam si rivolse a noi. Ma comunque non capivamo. L'unico pensiero che avevamo era il vino che era finito.
Dopo un poco si avvicinò Jeshua e con lui vennero due dei suoi amici. Senza chiederci nulla ci indicò le giare. Quelle grandi che si usano per la purificazione rituale, come è scritto nella legge. Sei grandi giare da circa centoventi litri l'una. Ci disse di riempirle, fino all'orlo. Faticammo un bel po', ma nessuno di noi e meno che mai Jeremias, si permise di chiedere perché. Solo Joakìm borbottava, non capiva e lo riteneva tempo speso inutilmente. "I profeti facciano i profeti" continuava a dirci, ma non ci vietò di fare quello che Jeshua ci disse. Lo facemmo e basta. Una volta piene, senza dire nulla, passò accanto alle giare, le carezzò con una mano. Ci sorrise. Non so descrivervi la profondità del suo sguardo. So solo che da quel momento mi conquistò. Poi ci disse di versarne il contenuto nelle brocche da tavola e portarne al maestro di tavola. Toccò a Joakìm riempire la prima brocca. Continuava a borbottare. Si faceva beffe di Jeshua, "la festa si fa col vino, non con l'acqua" continuava a dire. Jeremias lo guardò e gli disse di ubbidire. Joakìm afferrò una brocca con l'aria di chi non può rifiutare ma lo farebbe volentieri. Si avvicinò alle giare. Ne versò il contenuto. Si fermò all'improvviso. Lasciò cadere la brocca, pianse e scappò via. Gli amici di Jeshua si guardarono stupiti, erano felici e insieme increduli. Jeremias aveva gli occhi lucidi, guardò Jeshua ma non osava parlare. Io e Ram rimanemmo pietrificati. Continuavamo a non capire. Mi avvicinai, versai il contenuto della giara nelle mia brocca. Non era più acqua! Sì, non era più acqua. Aveva il colore rubino del vino buono. Non credevo ai miei occhi. Ram continuava a mettermi fretta, ma io non riuscivo ad allontanarmi dalla giara. Non sapevo che dirgli. Senza dire nulla andai dal maestro di tavola. Ne attinse, mi disse di servirlo in fretta e poi chiamò Natan.
Si appartarono, ma ero abbastanza vicino da poter sentire, e si complimentò, "non mi era mai successo - disse - che il vino buono fosse messo a tavola a festa quasi finita. Tutti mettono prima quello buono e poi quando si perde l'attenzione e si è un po' brilli quello un po' meno buono. Tu no. Hai avuto coraggio. Il vino buono lo hai conservato". Gli diede una pacca sulla spalla. Natan non capì nulla. Sorrise, si voltò verso di noi e si allontanò.
Intanto Ruth da lontano aveva seguito tutta la scena. I suoi occhi brillavano, erano di quel colore che assumono gli occhi quando sono innamorati. Il suo sorriso aveva il candore della luna. I suoi capelli avevano il fascino delle spighe mosse dal vento. Era così bella.
Eravamo frastornati. Miryam e Anna si avvicinarono, ci spronarono a darci da fare, come fa una mamma con un figlio impacciato, loro stesse si misero a servire il vino agli invitati.
Joakìm tornò fuori. Aveva ancora gli occhi lucidi, l'aria di chi voleva dirci qualcosa ma non sapeva cosa dirci; Ruth si avvicinò e gli disse "coraggio, non è colpa tua... Lui è speciale".
Avevo nel cuore la percezione di aver vissuto qualcosa che sarebbe stato ricordato per sempre. Ruth aveva ragione. In un attimo passarono nella mia mente tutte le cose che mi diceva di lui. Sì, aveva ragione. E capivo perché era così attratta da lui. Era innamorata ma di un amore speciale... e si riaccese in me la speranza di poterla avere mia un giorno.
Poi pensavo a Mosè, non vedevo l'ora di potergli raccontare tutto l'accaduto. Provavo ad immaginare cosa mi avrebbe risposto. Forse non mi avrebbe creduto o forse sì.
Intanto la festa andava finendo, eravamo tutti molto stanchi, ma felici. Felici nel vedere Jeremias e Anna orgogliosi del loro figlio e di essere riusciti a dargli giorni così belli. Ma in tutti noi continuavano a scorrere le immagini di quanto Jeshua aveva fatto.
Il giorno dopo la festa, ci ritrovammo tutti. Era l'ora di tornare alla normalità e ridare alla casa il suo aspetto di tutti i giorni. Ci raggiunse anche Natan, ci invitò a sedere con lui nel cortile, ci ringraziò per quanto avevamo fatto e volle sapere da noi cosa fosse accaduto con il vino e perché il maestro di tavola gli avesse detto quelle cose. Nessuno di noi osava parlare, non sapevamo se Jeremias fosse d'accordo. Morivo dalla voglia di dirglielo. E quando Jeremias ci disse che potevamo dirglielo, iniziai d'un fiato...come se non aspettassi altro che quello sguardo compiacente. Non mi accorsi dell'enfasi con cui raccontai l'accaduto. Vedevo solo che Ruth mi guardava felice e ammirata. Non so descrivervi l'emozione che vissi dentro di me. Ero così preso da lei, speravo tanto che le piacessi. Natan non credeva ai suoi orecchi, mentre parlavo continuava a guardarsi intorno quasi a cercare conferma nello sguardo degli altri. Ruth d'improvviso mi interruppe e disse "sì, fratello mio, tutto è andato come Hesed ti sta raccontando". Sentirle dire il mio nome mi fece provare delle emozioni fortissime. Tante volte mi aveva chiamato per nome, ma questa volta era diverso, era più bello.
Natan rimase molto colpito dal mio racconto. Comprese la grandezza di quanto Jeshua aveva fatto: "è davvero incredibile" - disse guardando Ruth. Avrebbe voluto incontrare Jeshua e ringraziarlo, ma Anna ci disse che era già ripartito alla volta di Cafarnao con i suoi amici.
Tornato a casa, a sera, attesi con ansia il rientro di Mosè. Morivo dalla voglia di raccontargli tutto.
Mentre pensavo a come dirglielo, Mosè arrivò, era stanco morto. Aveva trascorso tutto il giorno dietro al gregge. Entrò in casa, ci salutò a stento e si lasciò cadere sulla branda. Ero un po' deluso, di certo non avrebbe avuto voglia di ascoltare il mio racconto. Non osai dirgli nulla. Mi avvicinai, raccolsi la sua sacca, la preparai per l'indomani e l'adagiai sul tavolo.
Tornai da lui. Era caduto in un sonno profondo. Ero un po' deluso, ma capivo. Lo ammiravo molto, era un fratello straordinario e un grande lavoratore. Dopo la morte di mamma e papà era stato lui il nostro papà.
Me ne andai a letto. Io condividevo la camera con Ram. Anche lui era già a letto ma ancora sveglio. Mi misi a letto, ma non riuscivo a dormire. D'un tratto: "dormi?" - mi chiese Ram - "no" risposi subito, "pensi a quanto è accaduto?", "vuoi la verità?" chiesi, "pensi a lei vero?" ribatté. Fui pervaso da una emozione fortissima, mi sentii scoperto ma la cosa non mi preoccupava, "mi sono accorto sai di come la guardi", continuò. "È bellissima Ram, è davvero bella". "Buonanotte fratellino" mi disse sorridendo, spense la candela e si accovacciò.
Mi misi a dormire. Volevo svegliarmi presto l'indomani. Dovevo assolutamente raccontare a Mosé l'accaduto. Non poteva non saperlo.
Era l'alba. Fuori era ancora buio, sentii Mosè che già sveglio si preparava per uscire. Ram dormiva profondamente, mi alzai in fretta. Lo raggiunsi in cucina, quasi si spaventò. "Ehi, cosa fai già in piedi?" mi disse sorpreso. "Non potevo aspettare Mosè, volevo raccontarti già ieri sera quanto è accaduto al matrimonio di Natan, ma eri troppo stanco". Mi guardò incuriosito. "Cosa" mi disse.
Gli raccontai d'un fiato tutto l'accaduto. Con mia grande sorpresa non mi disse nulla. Mi accarezzò sul volto e mi disse "ora torna a riposare, è molto presto ancora". La sua reazione non era stata del tutto decifrabile per me, ma conoscendolo, credo fosse rimasto molto colpito dal mio racconto.
Prese la sacca, si avviò verso l'uscio. "Verrà, verrà" diceva, e uscì. Tornai a letto. "Verrà?"... cosa verrà mi chiedevo. Non capivo. Ma mi fidavo di lui.
Qualche giorno dopo Cana fu attraversata dall'angoscia per l'aggravarsi delle condizioni di salute di Tito. Un giovane della mia età, figlio di Terenzio, un funzionario regio. Sì, d'accordo era un romano, figlio di un comandante dell'esercito. Un invasore, se vogliamo dirla tutta, ma Cana è troppo piccola per fare questi discorsi. Ci si conosce tutti e in qualche modo ci si vuole bene tutti.
Sentivo Ruth che ne parlava con la mamma, era triste, e continuava a ripetere "se solo ci fosse Jeshua". Mentre ne parlava ci raggiunse la notizia che non avremmo mai voluto avere: Tito stava morendo. Calò su noi tutti un velo di tristezza che ci avvolse nel silenzio. Ruth pianse silenziosamente. Avrei voluto abbracciarla ma non ne avevo il coraggio... solo mi avvicinai a lei e riuscii a dirle "coraggio Ruth, non è ancora finita" ma non osai sfiorarla.
D'un tratto quel silenzio e quella tristezza furono squarciati da Ram che era stato fuori a svolgere delle mansioni con Jeremias. Venne correndo e "Jeshua" - ci disse. Ruth si destò subito, il suo volto si illuminò. "Jeshua cosa?" dissi io, "calmati Ram, Jeshua cosa?". "Jeshua è a Cana e il padre di Tito gli sta andando incontro".
Lasciammo tutto lì. Ci precipitammo in strada verso la casa di Tito. Ci imbattemmo in Terenzio, aveva il viso spento. Andava verso l'ingresso della città, il suo passo non era quello fiero a cui eravamo abituati. Decidemmo di seguirlo. Dopo poco vedemmo Jeshua accompagnato dai sui amici e da alcune donne. Terenzio slacciò la spada la gettò via e cadde in ginocchio dinanzi a lui. Senza mai alzare lo sguardo disse "mio figlio", scoppiò in pianto "mio figlio sta morendo, ti prego vieni a guarirlo". Ruth piangeva, timidamente le presi la mano, avevo paura che mi respingesse, lei invece lasciò fare, anzi strinse la mia mano dolcemente. Tremava tutta.
All'improvviso quella intimità e quella speranza furono infrante da un servo che, dalla sua casa, raggiunse Terenzio. "Tito è morto. Non c'è più nulla da fare". Terenzio rimase fermo, in ginocchio. Non aggiunse una sola parola. Jeshua chiuse gli occhi, pose una mano sul suo capo e disse "Tuo figlio vive. Va' da lui". Terenzio si rialzò, guardò Jeshua fisso negli occhi... ma non disse nulla e si avviò verso casa.
Nessuno di noi capiva, ma al vedere quanto accadde mi tornavano in mente la parole di Mosè... "verrà, verrà"... e mentre pensavo, mi passò accanto, mi sorrise e mi disse: "Sono già venuto"!
Cana era tutta in strada. Le parole di Jeshua mi avevano toccato fino nel profondo. Continuavo a stringere la mano di Ruth e questa volta ero io a tremare. Ruth continuava a tenermi la mano e d'un tratto mi fissò. Aveva gli occhi profondi come il mare, colmi di lacrime. Io a stento reggevo il suo sguardo. Ero in balìa di me stesso: "Sono già venuto", e poi le parole di Mosè: "Verrà, verrà". Cosa sapeva Mosè che io non sapevo? Chi glielo aveva detto? E nel frattempo nessuno di noi osò muoversi. Nessuno parlava. Nessuno aveva il coraggio di seguire Terenzio. Sembravano interminabili quegli istanti come lo erano stati quelli in cui gli occhi di Jeshua rimasero fissi in quelli di quel padre stravolto dal dolore. Si respirava un'atmosfera surreale.
Terenzio si avviò verso casa. Cosa aveva visto in quello sguardo? Cosa aveva sentito il suo cuore? La notizia del servo e poi le parole di Jeshua. Aveva fissi su di sé gli occhi di tutti. Era chiaro che quel giorno avrebbe cambiato per sempre la sua vita e forse quella di tutti noi.
Lentamente tutti, come fossimo uno, ci avviammo silenziosamente verso la casa del centurione. La forza di Terenzio era incredibile. Aveva ricevuto la notizia della morte di Tito eppure si era fidato della parola di Jeshua: "tuo figlio vive". Io non so cosa sia la fede, non mi sono mai posto il problema, ma se qualcuno mi chiedesse di darne una definizione gli racconterei di Terenzio.
Intanto arrivammo alla
casa. La moglie di Terenzio gli corse incontro, lo abbracciò e urlò forte "è
vivo amore mio, Tito si è svegliato". Si levò un urlo liberatorio di tutti i
presenti. Era un romano, eppure in quel momento imparammo che la vita non ha
razza. In quel momento Tito divenne un ebreo e Terenzio un padre per tutti
noi.