La felicità non è una magia
don Salvatore Rinaldi e Chiara Franchitti
La felicità è data dalla ricerca del proprio modo di vivere in maniera positiva tutte le esperienze quotidiane. Non è data una volta per tutte e non è gratis. Non bisogna chiudere gli occhi di fronte al male, al dolore e alla difficoltà di costruire una società giusta, è ragionevole voler camminare sulla strada verso la felicità personale. In questo percorso, siamo sostenuti dalla buona notizia dell'amore di Dio e dalla pratica delle virtù. La vita è quindi un continuo mettere a fuoco e la visione della vita si costruisce con continui aggiustamenti.
Le Beatitudini sono la traccia per la felicità del cristiano e la condivisione è la via più semplice per una vita autenticamente felice. Ogni dipendenza è un ostacolo verso la felicità e innanzitutto per questo va combattuta. Occorre saper distinguere tra le dipendenze più strutturate, che si radicano nel nostro mondo di adulti e quei comporta-menti che spesso, in età adolescenziale, sono vissuti come sfida, come iniziazione al mondo degli adulti. Trattare le une e gli altri allo stesso modo significa non comprendere appieno né le prime né i secondi. Nelle prime si intuisce l'assenza di un quadro di riferimento, organizzato sulla base della comprensione di cosa è bene e cosa è male e, nei casi più gravi e radicati, si ha a che fare con situazioni il più delle volte devastanti e senza via d'uscita, nono-stante gli sforzi degli psicologi, degli operatori sociali, delle comunità di recupero. Diverso è il tema degli abusi occasionali in età adolescenziale, dove il ruolo dei genitori e degli educatori è possibile e, anzi, dovuto. La strada dei divieti, delle prediche, delle richieste di buoni propositi è quella più nota e più praticata. È quella che permette agli adulti di liberarsi agevolmente dei sensi di colpa e delle frustrazioni da impotenza, ma spesso risulta inefficace.
Realizzare qualcosa di bello, ammirarlo, sperimentare la fatica, affrontare il successo, ma anche l'insuccesso, e imparare a valutare l'uno e l'altro per quel che sono: la pedagogia insegna questo e lo indica come "la strada ver-so il successo", cioè verso la felicità. Una strada lungo la quale si può sbagliare, e si sbaglia, ma si possono anche realizzare grandi cose, a patto di aver il coraggio di non rinunciare mai a progettare e insieme l'umiltà di riconoscere che ogni progetto, per essere vero, non può che es-sere in continuo aggiornamento e adattamento alla vita e alle sue temperie. Si è felici-beati, allora, decentrandosi dal proprio io, dalla propria autorealizzazione per accogliere un disegno grande – in modo che nulla vada perduto – al quale dedicare la propria esistenza. L'uomo sa che non può vivere da solo, che ha bisogno degli altri, di "appartenere" a qualcuno per cui si è capaci di dare la vita e nel quale allo stesso tempo si trova rifugio e protezione. Padre Pierre Teilhard de Chardin, nel 1942 ha scritto una breve riflessione sulla felicità, Sur le Bonheur, nella quale sostiene che la felicità sta nell'inserire la pro-pria vita nell'avventura del mondo, mettendo insieme tre atteggiamenti fondamentali: la creatività, l'amore e l'adorazione.
«In primo luogo, per essere felici, bisogna reagire contro la tendenza al minimo sforzo, che ci spinge a fermarci sul posto [...] in secondo luogo, per essere felici, bisogna reagire contro l'egoismo che spinge o a racchiudersi in sé o a ridurre gli altri sotto il proprio dominio [...] e, in terzo luogo, per essere felici, totalmente felici, dobbiamo [...] trasportare l'interesse finale delle nostre esistenze nell'avanzata e nel successo del mondo attorno a noi [...]. Il che non significa, rassicuratevi, dover compie-re azioni notevoli, straordinarie, ma solo che [...] ci impegniamo a fare grandemente la più piccola delle cose; ag-giungere un solo punto, per quanto piccolo sia, al magni-fico ricamo della Vita e, per fare questo, bisogna impara-re ad amare, [...] a prediligere in tutte le cose (quelle più dolci e più belle come quelle più austere e più banali) [i segni] di un Universo carico di amore, nella sua evoluzione».
Per far comprendere meglio il nostro pensiero, Teilhard de Chardin racconta la paragone - potremmo dire "la parabola" - della gita in montagna, e dei tre diversi atteggiamenti (che definisce come "tre atteggiamenti fondamentali adottati dagli uomini di fronte alla Vita") che, alcune ore dopo la partenza per la conquista di una vetta difficile, si sviluppano fra i partecipanti.
«Alcuni rimpiangono di aver lasciato l'albergo. Le fatiche, i pericoli sembrano loro senza proporzioni con l'interesse del successo. Decidono di tornare indietro. Altri non sono dispiaciuti di essere partiti. Il sole risplende. Il panorama è bello. Ma perché salire ancora? Non sarebbe meglio godersi la montagna dove si è, in mezzo ai prati o in pieno bosco? E si sdraiano sull'erba od esplorano i dintorni aspettando l'ora del pic-nic. Altri infine, i veri alpinisti, non staccano gli occhi dalla vetta che hanno deciso di conquistare. E riprendono la salita».
Questi ultimi, in contrapposizione ai primi – che vengono definiti come "gli stanchi, o pessimisti" –, e ai secondi – che vengono definiti come "i gaudenti, o i buon-temponi" – sono gli uomini "ardenti", quelli grazie ai quali "si prepara a sorgere la Terra di domani".
Lo scopo della vita? Raggiungere la felicità. E quando la ottieni? Quando fai felice il tuo Prossimo.