La Curaesëma: Un racconto di Sacrificio e Speranza dalla Terra di Isernia
di Mario Garofalo
Con l'arrivo della Quaresima, il cuore pulsante di Isernia si prepara a vibrare al ritmo di una delle tradizioni più antiche e affascinanti della città: la Curaesëma. Ogni volta che la vedo prendere forma, è come se un pezzo di storia si materializzasse davanti ai miei occhi; una narrazione che intreccia il sacrificio con la speranza, un rito che, pur affondando le sue radici nel passato, ha la straordinaria capacità di risuonare nel presente, facendoci sentire parte di una comunità che abbraccia gelosamente la propria identità.
La Curaesëma non si limita a essere un simbolo folkloristico; è un emblema di una cultura che si trasmette di generazione in generazione. Immaginate una pupattola, vestita di nero, i lineamenti sottili che sembrano quasi dissolversi nell'aria, un'ombra che invita alla riflessione sul digiuno e sulla sobrietà di questo periodo quaresimale. Quando la vedo, nella piazza di San Felice, percepisco non solo una figura, ma una testimonianza tangibile di un legame profondo con il passato. E non è solo la sua forma a catturarmi, ma ciò che essa rappresenta: una selezione di cibi che raccontano la tradizione culinaria isernina. Baccalà, aringhe, cipolla, aglio, peperoncino, frutta secca… Ogni alimento appeso alla Curaesëma narra una storia di condivisione e di necessità, trasformata in creatività. È sorprendente come anche un periodo di digiuno possa diventare un atto di ingegno culinario, celebrando la bellezza di sapori semplici ma ricchi di significato.
Un gesto che mi colpisce profondamente è l'uso di una patata con sette penne di gallina, simbolo di un rito che si rinnova ogni domenica fino alla Pasqua. Ogni settimana, una penna veniva rimossa, segno tangibile del tempo che scorre e della festa che si avvicina. Per me, questo gesto semplice è tanto un atto di riflessione quanto un momento di comunità. È come se ogni famiglia, ogni cittadino di Isernia, fosse avvolto da questa azione, rinforzando il senso di appartenenza che rende la Curaesëma qualcosa di più di una tradizione: è un vero e proprio atto di unione.
Il momento culminante che segna l'inizio di questo periodo speciale si consuma a mezzanotte, l'ultimo giorno di Carnevale. È in quell'istante che la Curaesëma viene innalzata, con una solennità che emana emozione. Ho sempre percepito un'intensità particolare in quel gesto; è come se, con l'inizio di quel periodo di penitenza, ci fosse un invito a riflettere, a fermarsi per un attimo e guardarsi dentro. E poi, il Sabato Santo, la Curaesëma viene rimossa: un passaggio simbolico dal sacrificio alla speranza, dalla penitenza al rinnovamento che la Pasqua incarna. In quell'atto risiede la promessa di un nuovo inizio, che mi riempie di una sensazione di pace.
Quello che mi affascina della Curaesëma è che essa trascende il semplice rito religioso; è un atto di cultura, un modo per mantenere viva la nostra identità. È un momento che mi fa sentire parte di qualcosa di grande, di un patrimonio che va oltre la sfera della religiosità. Osservando la Curaesëma, comprendo l'importanza di preservare queste tradizioni, quei legami che uniscono la nostra storia al presente, che ci parlano di un tempo che, sebbene possa apparire lontano, continua a vivere attraverso le nostre mani, nei nostri gesti, nei cibi che prepariamo e condividiamo.
Scoprire la Curaesëma è, per me, un viaggio nel cuore pulsante di Isernia, una città che sa custodire le proprie radici. È un'opportunità per riscoprire il valore della comunità, della condivisione e della speranza. Ogni anno, nonostante il passare del tempo, la Curaesëma ci ricorda che le tradizioni non sono solo un'eco del passato, ma una fonte di ispirazione per il nostro futuro. E in un mondo in continua evoluzione, credo sia fondamentale coltivare queste tradizioni con la passione e la devozione con cui sono state tramandate fino a noi.
[Fonte bibliografica: Gioielli Mauro, La Pupattola della Quaresima, Extra, settimanale, IV, n. 10, 15 marzo 1997, p. 12].
