Il “ripasso” della fede
di Egidio Cappello
Abbiamo insistito sulla necessità di uscire pienamente dalla condizione epidemica. Abbiamo invitato ogni uomo ad utilizzare l'intero proprio mondo interiore e lottare nell'opera di edificazione di un mondo nuovo. Abbiamo cercato di fissare i nuovi possessi conoscitivi e comunicativi necessari per la trasformazione dell'umanità, e abbiamo additato quanto, della nostra cultura, incide negativamente nella lotta epocale che si sta vivendo. Abbiamo sostenuto con forza la necessità del ripasso della cultura, del ripasso delle congetture e delle convinzioni umane. Ora sottolineiamo che il ripasso della cultura deve essere accompagnato dal ripasso della fede. Il ripasso della fede ci è stato indicato dal Papa emerito Benedetto XVI fin dal 2012 con il motu proprio "Porta fidei", ma l'invito non ha dato frutti in quanto il compito si è rivelato estremamente difficile.
Il ripasso della fede non consiste nella rilettura di alcune pagine del Vangelo, bensì nella rivisitazione della qualità di tutti i nostri saperi, nella definizione dei poteri e dei limiti della nostra intelligenza, nella adesione alla trascendenza e al mondo metafisico. Oggi i nostri saperi riguardano per lo più la sfera delle competenze professionali e il linguaggio è succubo della riduzione imposta dall'imperante ottica individualistica, relativistica ed edonistica. Ciò che manca ai saperi è l'ampiezza e la profondità delle voci, è la tensione verso la verità, è la tendenza alla piena razionalità che è unitarietà e universalità. Ciò che manca ai nostri saperi è la presenza dello Spirito di Dio, esclusione che riduce la storia interiore ad una sequenza di eventi slegati, senza anima. Manca la cultura della teologia, della metafisica, la cultura del mistero, la cultura della ragione e della natura, e l'uomo sembra impegnato a ridursi ad evento prettamente biologico e sociale.
Il ripasso della fede può avvenire se si procede senza fretta a liberare la nostra mente dalle seguenti tre incrostazioni: la prima è l'idea illuministica che i saperi della fede siano autonomi rispetto ai saperi della ragione, la seconda è la convinzione soggettivistica che il linguaggio della fede sia il parlare delle sagrestie e non abbia valore all'interno delle trame della vita sociale e pubblica, la terza è l'idea nichilistica che il mondo della tecnologia cancellerà a breve il mondo della metafisica e della trascendenza. Ripassare la fede è allora non l'acquisto di un mondo conoscitivo nuovo ma la rilettura attenta dei saperi posseduti e del linguaggio in uso. Occorre essere consapevoli della riduzione quantitativa e qualitativa della nostra comunicazione, occorre conoscere quanto è nocivo il nostro linguaggio, ridotto e deturpato, per le relazioni umane e, in modo particolare, per il confronto politico oggi così visibilmente negato proprio per le condizioni in cui versa il linguaggio. Le espressioni e di conseguenza le parole dell'uso comune si fermano all'epidermide dei significati sempre più legati agli aspetti materialistici, edonistici ed economicistici della vita.
Vediamo allora nel vocabolario della nostra comunicazione le parole che hanno bisogno di recuperare il significato di fede che è ad esse proprio e riguadagnare gli originari significati autentici. Penso ai concetti di creazione, di vita, di natura, di ragione, di umanità, di divinità, di storia, di eternità, di verità, di cultura, di Spirito Santo, di carità; penso al concetto stesso di Dio, al concetto di Trinità e quello di persona, inclusivi della paternità e del progetto di salvezza per tutti gli uomini; penso al concetto di identità che si vuole dipendente dalla sfera della sensibilità dell'uomo e totalmente slegato dalla dimensione della divinità; penso ai concetti di rilievo etico e sociale, come quelli di progresso, di civiltà, di potere, di legge, di moralità, di libertà, di lavoro, di produzione, di solidarietà, di economia, di fratellanza, di povertà, di servizio, di partecipazione, di educazione, di tradizione; penso ai concetti relativi alla vita della persona umana, come quelli di amore, di dialogo, di tenerezza, di fiducia, di bontà, di donazione, di preghiera; penso in particolare al concetto di politica oggi così sconosciuto, così deturpato e privato della cultura della carità e della donazione, concetto che solo nel suo significato autentico permette di capire e affrontare problematiche come la mancanza o la perdita del lavoro, come la privazione dei diritti inalienabili della persona, come la perdita di quanto, specialmente nella famiglia, assicura sicurezza e sobrietà di vita; penso infine ai verbi camminare, navigare, custodire, costruire, morire, risorgere, gioire; penso ancora a tantissimi termini da noi utilizzati per esternare un mondo interiore che è sempre più come un campo autunnale, pieno di foglie secche sbattute da ogni vento.
Ecco allora la
misura della qualità di un eventuale ripasso della fede: se non si è
disponibili a rifare ognuno il proprio mondo interiore, recuperando il necessario
linguaggio, riformulando la metodologia di formazione delle nostre idee e dando
ad ogni parola il giusto autentico significato, allora il ripasso della fede,
insieme al ripasso della cultura, si esaurirà in una superficiale
ricomposizione di trame estemporanee ed epidermiche, del tutto incapaci di
operare le auspicate necessarie trasformazioni. Chi aspira ad una cultura nuova
senza l'apporto di una fede nuova, è votato ad un sicuro insuccesso, con gravi
danni per il mondo interiore di ogni uomo e per la sfera della socialità.
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