Il bus

16.05.2021

Viaggio volentieri in bus. Nel bus, infatti, dove c'è un punto da cui si parte e un punto in cui si arriva, mi par di leggere un intero condensato della vita. Ci sono delle fermate in bus e c'è gente che sale e che scende, come nella vita. Come nella vita, c'è gente che siede e gente che va in piedi. In piedi vanno normalmente quelli che debbono andare seduti; seduti, quelli che debbono andare in piedi. Ci sono persone che scendono alla prossima fermata e persone che non scendono mai. "Aspetto", dice l'attesa di chi vorrebbe sedere; cui risponde il dispetto di chi siede: "E spera".

C'è gente che parla da sola e gente che parla al telefonino, che è esattamente la stessa cosa. C'è chi commenta, chi sonnecchia, chi accavalla innocentemente le gambe e chi alza la voce per il piacere di farsi sentire. Infine, c'è il capolinea, dove il bus di norma arriva vuoto e si trattiene il tempo di un caffè che sarà più o meno lungo a seconda della fretta dei passeggeri in attesa. Se questi non ne avranno, il bus partirà immediatamente; se essi ne avranno, il bus partirà dopo un inspiegabile lunghissimo tempo: nell'uno e nell'altro caso, qualcuno, che giungerà di corsa e con la mano destra alzata, come a prendere possesso del mondo, dovrà aspettare la corsa successiva così non riuscendo a prendere possesso nemmeno d'un posto in bus. E' certo, però, che, prima o poi, il bus ripartirà, fra mugugni e sospiri di liberazione! E farà tante fermate, sempre quelle; prenderà tante persone; lo stesso numero; rinnoverà lo spaccato della vita senza che gli debba mai esser dato di sapere se la gente che sale o che scende qua o là è ancora la stessa gente salita il giorno prima, se è ancora la stessa che salirà il giorno di domani. Uno spaccato di vita. La gente che sale o che scende, per esempio, se fino a qualche tempo fa era di ogni condizione, ora anche di ogni razza. Ci sono i ragazzi e le ragazze. Gli studenti, gli impiegati e gli operai. Le persone preoccupate, quelle che preoccupano, gli intellettuali e le intellettuali dal libro in mano perennemente aperto, stiano seduti o stiano in piedi, siano o non siano strattonati, abbiano o non abbiano la possibilità di inforcare gli occhiali giusti, salgano o scendano, sappiano o non sappiano leggere. Ci sono i venditori ambulanti, che spostano sé e le loro cose da questo a quel quartiere o da questa a quella strada, seguendo il criterio del detto latino tradotto in romanesco omnia bona mea mecume porto. Ci sono i ritrovati dell'ultima moda e le certezze dei nuovi tempi. Una volta, ad esempio, per andare a scuola, si usava la cartella ... Ora, però, giacché la moda dice movimento, nel cerchio indotto fra scoperte, cose e condizioni, è risultato che i libri in cartella sono eccessivamente pesanti, per cui i bambini e i ragazzi rischiano di inclinare sul fianco destro o sul sinistro a seconda che portino la cartella con la destra o con la sinistra. Invece di suggerir loro di portarla un giorno con la destra e un giorno con la sinistra, si è sostituita la cartella con lo zaino. Il quale zaino qualche problema in bus lo ha certo creato. Prima, quando un viaggiatore doveva scendere, chiedeva permesso, sfiorava leggermente il dorso delle persone che gli erano davanti, queste gli facevano spazio e lui si muoveva in direzione dell'uscita. Tutto accadeva in maniera garbata e cortese. Adesso, gli zaini a volte costituiscono un'autentica chiusura lampo. Se un tizio deve passare, mentr'egli sussurra "permesso", non sfiora spalle, sfiora zaini e gli zaini, benché trasportino cultura, sono sordi come pietre. Se i ragazzi che gli si agitano davanti riescono chissà come a percepire il suo lieve sussurro, si rigirano d'acchito e fanno in tempo a dargli due botte di cultura, uno alla milza e uno al fegato, talmente precisi da lasciarlo col fiato sospeso, nel convincimento ribadito che lui il pugile non lo aveva mai voluto fare e con tanta nostalgia delle vecchie cartelle. La gente, poi, è talmente abituata ai bus affollati e a viaggiare in piedi che se per ipotesi una signora vi entra e chissà come trova liberi una diecina di posti a sedere, invece di occuparne uno, nell'ansia di scegliere il migliore, si muove qua e là, prova questo e quello, e quando alla fine decide trova che tutti i posti a sedere sono occupati. Allora è costretta a viaggiare aggrappata al passamano, crede lei, che però, neanche a farlo apposta, un enorme signore africano ha occupato in tutta l'altezza e in tutto il suo spessore. "Ne lasciasse libero almeno un pezzettino!", bofonchia minuta la signora. L'uomo però, che è straniero e non capisce l'italiano, se ne resta trincerato nella sua cultura, così che la povera donna ondeggia paurosamente in ogni direzione e se non cade è perché viene trattenuta da quella stessa folla di persone contro cui un attimo prima aveva lanciato il suo strale velenoso: «Ma cosa fa questa gente sempre in giro? E non ti cede il posto nessuno! Maleducati!». Ecco: non è affatto scontato che si sia maleducati nel non cedere il posto. Forse la verità è un'altra. Forse oggi gli anziani in bus non ci salgono proprio. Se qualcuno, un tantino più educato degli altri, immaginando la presenza di un anziano, azzarda un: "Prego s'accomodi", si sente rispondere: "No, grazie, stia comodo lei!". Solo le mamme che portano in braccio un bimbo accettano serenamente che si ceda loro il posto. Qui, però, non ci sono equivoci: il posto è ceduto al bambino ...

Nel bus, infine, dove un tempo si discuteva solo di calcio o di pizzi e di merletti, oggi in genere si danno soluzioni e tanto più sostenute quanto meno probabili. Da una fermata all'altra, insomma, si risolve ogni tipo di problema. Peccato doppio, però: non ci sono politici e chi sale a Largo Argentina non saprà le soluzioni chi è sceso a Piazza Venezia! Le due fermate, che quasi si toccano, non s'incontrano mai, proprio come le soluzioni o le intenzioni o gli obiettivi. Né c'è da immalinconire. Da sempre, se ci fossimo stati noi le cose sarebbero andate in modo diverso e avrebbero trovato adeguata soluzione. È, questa, una costante talmente insuperabile da farci dimenticare che, almeno in quella o in quell'altra circostanza, c'eravamo noi e che le cose andarono ugualmente in modo diverso da come avrebbero dovuto. Così che il bus, fra attese e smentite, è un concentrato della vita. E lo è nello spazio di una sola corsa durante la quale s'incontrano uomini e donne; vecchi, giovani e bambini; speranze, nostalgie e percorsi; piazze, palazzi, strade, memorie; negozi, cose, persone, possibilità, minacce. E mentre si va nell'impaccio di tanto presente, cogli il grande desiderio di guardarti profondamente dentro. Non solo, ma siccome il tempo passa inesorabilmente, senti di doverlo fare presto, prima che anche la tua sia l'ultima corsa per sempre.  

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