Francesco Canini, Il mare, come la vita
di Rocco Zani
Terracina bisogna conquistarla. La città alta naturalmente. Quel borgo antico appartenuto, per secoli, a uomini e donne di ogni dove. Ai navigatori e ai mercanti, ai viandanti, agli sguardi millenari. Bisogna conquistarla per risalite impervie, saliscendi, agore di sosta e platani insoliti tra giardini altrettanto insoliti.

Pittore e
gallerista di lunga data Francesco
Canini lascia Roma un decennio fa. Dapprima abita il mare su una minuscola goletta
che è dimora, studio, universo di incanti. Poi la terraferma, nel cuore della
città alta, tra i sassi della romanità e le bifore di una ruralità inconsueta.
Il suo spazio espositivo - come rinnegare la passione della prima ora? - è una
sorta di "acquario celeste". Poche tele - le sue - quasi a concludere la
dimensione del gesto; come a interrompere un "tempo colmo" per riafferrarlo
nella campitura successiva. La "nuotatrice" di Francesco Canini - il dolce
assillo - non è la sirena di Odisseo e neppure l'immagine di un ipotizzato
rimpianto. Lei è, in definitiva, il "mare": la risacca, l'onda lieve, il
bagliore incauto, l'abisso. Perché Francesco Canini ha fatto del mare la sua
coscienza vigile ovvero il luogo testimoniale di ogni memoria, di ogni presenza,
di quell'illimite che custodisce il
sogno e la veglia. La "nuotatrice" lo attraversa al pari del tempo. Perché è
mare e tempo, dimensione onirica e stagione di vita. Il corpo è soltanto
un'ipotesi visiva al centro di un piano cromatico che non ha distinguo o
transiti, sospeso e immerso, sfumato e duttile come onda, appunto, o sollievo.
Come la vita direi.
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