Educare al carattere
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"educare al carattere è prioritario rispetto alla
educazione del carattere"
di Egidio Cappello
Dico subito la tesi che intendo discutere e promuovere: "l'uomo di carattere non è la persona coerente con il proprio punto di vista, o il punto di vista del gruppo, ma la persona che ubbidisce alle leggi universali della natura umana". Il carattere, di conseguenza, è la conoscenza e la determinazione alla ubbidienza e alla attuazione delle leggi universali della natura umana. Prima di ipotizzare una educazione del carattere occorre pensare ad una educazione al carattere ossia all'apprendimento e all'accoglienza della nozione di natura umana, unitaria ed universale, e delle leggi che la distinguono. Senza le nozioni di unitarietà e di universalità, senza le conoscenze specifiche della dinamica della natura umana, senza la volontà di realizzazione delle norme che guidano la natura umana, non si coglie il senso del carattere. Il carattere è dunque, per l'uomo, la conoscenza delle leggi della propria natura e la ferma determinazione ad attuarle.
E' il verbo ubbidire a qualificare il carattere e l'ubbidienza impone l'uscita dalla dimensione della soggettività e l'apertura a un mondo esterno, ad un sistema valoriale oggettivo, universale ed eterno. Il carattere è la conoscenza autentica di se stessi, la conoscenza della propria storia, conoscenza che si accompagna ad ubbidienza e rispetto per la propria e per l'identità dell'intero genere umano. Non è possibile argomentare sul carattere senza fare i dovuti riferimenti al genere umano. Ebbene il genere umano tende al bene, al progresso, tende alle grandi idealità della pace e della giustizia universale. Il genere umano, frutto della discendenza di Adamo, creato a somiglianza della natura di Dio, porta con sé il carattere della divinità. Il carattere è il segno indelebile dell'unione tra l'umanità e la divinità, impresso da Dio nell'anima di ogni uomo. Non a caso la Dottrina Cristiana ha parlato di segno indelebile: il carattere è l'immagine di Dio impressa sul volto dell'uomo, immagine che nessun evento storico può cancellare o imbrattare. L'identità dell'uomo non è soggetta ai fumi del tempo, essa è eterna come eterna è l'identità di Dio. Come è distante l'interpretazione che tante scuole di psicologia hanno oggi del carattere: le loro congetture sono intrise di soggettivismo ed accolgono dosi di egoismo, di prepotenza, di sopraffazione, di falsa superiorità, di potere. Sono così ricche di tali connotazioni da escludere ogni riferimento ai valori della umiltà, della fratellanza e della concordia. L'uomo di carattere oggi è difficilmente "generoso" perché difficilmente accoglie e più difficilmente è disposto alla ubbidienza nei confronti delle leggi del genere umano.
Avverto, in questo momento, una assoluta necessità di invitare genitori e docenti ad educare al carattere le giovani generazioni, parlando loro con il linguaggio della universalità e raccontando ogni giorno la storia del genere umano alla quale ognuno appartiene, alla quale ognuno deve la vita e la propria identità personale. Occorre trasmettere la nozione di appartenenza nel senso più ampio del termine, facendo scaturire dalle parole la dimensione profonda della identità dell'uomo, dimensione che accoglie le leggi della vita e dell'intero creato.
La formazione al carattere è prioritaria, dice il logo, rispetto alla formazione del carattere. La seconda deve essere un percorso di conservazione e di crescita del carattere posseduto. I giovani educandi devono conoscere, in modo prioritario, la propria origine, devono conoscere tutte le proprie virtù, devono respirare l'aria della unitarietà e della universalità, devono sapere che la loro tensione naturale è volta al bene di tutti e di ciascuno. Non si tratta allora di partire da zero, di partire dal mondo delle sensazioni, dalle lettere dell'alfabeto. L'uomo nasce provvisto di tendenza al bene, nasce con una dotazione che gli viene proprio dall'appartenenza al genere umano. Egli è per natura "generoso": la connotazione etica è superata da quella antropologica che trova il carattere fondamentale dell'uomo proprio nella appartenenza al genere umano, nella partecipazione ad un percorso con proprie specifiche finalità. Mi sovviene la mamma del guerriero spartano che ricorda al figlio il senso divino dell'appartenenza alla storia della città. Ecco le parole usate mentre lo aiutava a vestire lo scudo: "o con questo, o sotto di questo". Un chiaro esempio di educazione al carattere. Il carattere è lo scrigno delle certezze, delle credenze, dei pensieri forti, delle convinzioni interiori, delle idee autorevoli e degne di storia; il carattere è l'appartenenza ad un mondo di autorità che si ritiene importante per la propria vita.
Sottolineo ancora il dovere di formare i giovani al carattere riflettendo
ripetutamente sulla dimensione della universalità alla quale ognuno appartiene.
Fondamentale è la conoscenza della natura umana e della ragione umana, oggi
ridotte a maschere che i soggetti indossano sempre più raramente. Così il
carattere diventa il mio, il tuo, il suo, senza alcuna forza di oggettività e
privo dei legami con la ragione umana e la natura umana che identificano tutti
gli uomini e forniscono la valenza dei pensieri e degli atteggiamenti. Gli
istituti che una volta erano deputati alla creazione e allo sviluppo del
carattere, la famiglia, la scuola, la società, la parrocchia, svolgevano tale
compito con naturalezza perché ne riconoscevano l'importanza e il ruolo nella
vita degli uomini e dei cittadini. E si incontravano sul senso dei termini,
sulle metodologie e gli atteggiamenti ed erano come provvisti di una stessa
essenziale ed unitaria ricchezza etica e culturale. Non è tempo dei rimpianti. Urge
tornare a pensare ed essere tutti uomini di carattere. Urge cancellare la
mitologia del soggetto che già ha causato molti danni all'umanità.