E mi sorprende... in ricordo di Amerigo Iannacone
Chiara Franchitti
Rileggendo nel tempo e con la giusta calma meditativa le poesie di Amerigo Iannacone ho notato che uno dei fili conduttori è il tema della parola, o meglio dell'importanza della parola. Per il poeta la parola ha un valore quasi "sacro" in quanto è tutto ciò che ha di condivisibile, di donabile e in quanto è un tutt'uno con sé, è l'espressione di sé. Senza la parola il poeta non sarebbe tale, non avrebbe senso di esistere come poeta. La parola permea tutta la sua vita.
Nel primo verso di una poesia che si intitola Testamento dice «non so lasciarvi altro che parole». In un'altra poesia intitolata Cerco nelle parole dice di cercare nelle parole compagnia e semi di speranza, quando intorno nelle persone trova indifferenza leggerezza e cecità. Poi in un'altra poesia ancora, dedicata alla scelta di essere un poeta, intitolata Anni di parole dice: «Fuggirono veloci / – volgeva altrove il mondo – / anni, decenni di parole. / Vite per la parola / mentre altri pensavano ad altro. / Domandarsi / se tutto davvero fu vano / se la scelta fu giusta / o se al bivio fatale / era meglio imboccare la via / più appariscente più agevole. / Non fu tua la scelta. / Ha una sua vita, / è lei che ti sprona / ti spinge o ti trascina / ti ospita o ti reclude / è lei, la parola».
E poi c'è quello della speranza nonostante tutto. Se a una prima superficiale lettura ci si può lasciar ingannare, o almeno se ne corre il rischio, da un'apparente malinconia, presto – a una lettura più attenta – ci si rende conto che l'apparente tristezza è in verità una riflessione puntuale e profonda, uno sguardo oggettivo e penetrante sulla realtà, che lascia spazio al lieto fine e che non esclude in ogni circostanza, nonostante tutto appunto, un risvolto positivo. In una poesia intitolata Ogni giorno è nuovo dice: «Ma perché mai continui a piangere te stesso? / A rimpiangere la vita non vissuta / dimenticandoti di vivere. / A compiangerti mentre il mondo va. / Masticare nostalgia di giorni belli / di anni che belli potevano essere e non furono. // Ma ogni giorno è nuovo / e la vita tutta si compone di attimi. / Impara e vivi gli attimi fuggenti».
Poi c'è la poesia intitolata Tutto fu degno in cui dice in definitiva che «tutto – ogni ora ogni minuto – fu degno sempre d'essere vissuto». E poi la mia preferita, quella che è scritta anche sulla tomba, che si intitola Eppure in cui dice:
«Eppure / c'è sempre un motivo / per vivere / anche quando / non riesci a vederne nessuno. / Eppure / tutti, anche tu, / hanno un ruolo / e hanno un posto / nella storia dell'uomo».
Ancora, sottofondo sonoro dell'intera produzione poetica di Amerigo Iannacone è l'apertura alla rivelazione divina nell'umanità. Il poeta non suole schierarsi o dichiararsi apertamente in una categoria di fede. Ma tanti sono gli elementi nelle sue liriche che lo lasciano identificare nel testimone. Non basta dire "nel cristiano", ma proprio "nel testimone", in colui che cioè vive i valori che proclama. Perché spacciarsi nelle poesie come conoscitore dei princìpi cristiani potrebbe sembrare anche una maschera, invece per Amerigo Iannacone è tutt'altro. È l'esatto contrario. Lui è prima di tutto testimone di quello che scrive, lo incarna con la sua intera esistenza, ci crede davvero.
Nella poesia Resurrezione laica scrive: «È il giorno della Resurrezione / di Uno che prende su di sé / i nostri peccati / ma che non ci esime / dal dovere / di risalire la china / di liberarci / dall'egoismo dalla superbia / dalla malvagità / che si occulta in noi. / Non ci esime dal dovere gioioso / di combattere il buio e risorgere alla luce». O nella poesia Pasqua con te stesso[8] scrive: «Piuttosto che / Pasqua con chi vuoi [...] Pasqua con te stesso / per ritrovare un te / che non conosci più», esprimendo in pochi versi (ma a dire il vero già nel titolo) un concetto cardine di tutta la rivelazione cristiana: «Gesù è l'uomo che svela pienamente l'uomo a se stesso» (cfr. Gaudium et Spes, n. 22). Cito ancora una poesia, scritta nei suoi anni del liceo. S'intitola Ogni mattino: «Ogni mattino al mio risveglio sento volteggiare su me la tua grandezza. So che mi hai concesso un altro giorno. So che mi hai perdonato. Che sei stato più buono che giusto. Perché tu vuoi che la mia vita sia candida. E se io non lo sono sei tu che, con la tua purezza totale, ogni giorno cancelli il nero perché io ricominci la vita su libro di nuovo bianco».
A questo punto concludo – ma solo perché non posso analizzare tutti i temi e tutte le poesie in un articolo – con il "mistero", altro sottofondo sonoro della produzione poetica di Amerigo Iannacone, fino all'ultima raccolta pubblicata Eppure, che è tutta intrisa di mistero. Quando nella poesia Un poco di te parla dei suoi amici che sono morti prima di lui dice «che hanno già varcato la soglia del mistero». Parlando del mistero non lo intende come "buio", ma piuttosto come "troppa luce". Infatti «il mistero non è irrazionale, ma è sovrabbondanza di senso, di significato, di verità. Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n'è troppa. Così come quando gli occhi dell'uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso, anzi la fonte della luce?» (Benedetto XVI, Udienza Generale, 21 novembre 2012).
Un ultimo appunto esplicativo lo dedico al titolo di questo breve articolo. Nel 1981 Pierangelo Sequeri pubblica un album dal nome E mi sorprende, che ha come sottotitolo «Per cantare quello che non potremmo dire e non sappiamo tacere». Ispirandomi a ciò ho preso in prestito da Sequeri il titolo per il mio articolo, sia perché in effetti la poesia di Iannacone canta i risvolti della vita, anche quelli più reconditi con una semplicità spiazzante, sia perché ogni volta che rileggo le poesie di Amerigo Iannacone tornano sempre nuovamente a sorprendermi. E invito tutti vivamente a leggerle e rileggerle. Ne vale sinceramente le pena.
