Di chi è la colpa
Il caso Ferragni continua a tenere banco tanto da sembrare il "male" dell'Italia in questo momento. Tanti sembrano essere scesi da un altro pianeta, ma chi si scandalizza solo adesso del suo modus operandi o è un semplicione o è uno sulla cui buona fede c'è parecchio da dubitare
di Pier Paolo Giannubilo
Non conduce da nessuna parte avercela con Chiara Ferragni, perché quello che Chiara Ferragni è - ossia una grande imbonitrice, una perfetta macchina da soldi che è riuscita a diventare miliardaria pubblicizzando e poi vendendo prodotti in un mix strategico di mercato, costruzione di immagine, beneficenza e posizionamento a sostegno delle cause più sensibili del momento - è sempre stato apertamente sotto gli occhi di tutti, tanto delle persone meno avvertite delle cose del mondo quanto di chi possiede gli strumenti per comprendere la realtà. Pertanto chi si scandalizza solo adesso del suo modus operandi o è un semplicione o è uno sulla cui buona fede c'è parecchio da dubitare.
Non conduce da nessuna parte neanche avercela col popolino che l'ha consacrata divinità e profetessa del nostro tempo. Perché cosa si pretende da una massa sempre più anonima, sempre più impoverita, sempre più priva di scolarizzazione di base e coscienza di sé, una massa spossessata del sapere, del lavoro, e spossessata financo dei sogni, spossessata di una qualsivoglia prospettiva di realizzazione personale e collettiva che è il minimo sindacale di una società che voglia dirsi civile? A cosa vuoi che creda questa gente se non alle favole ben confezionate? Un tempo era il principe azzurro, oggi la narrazione tutta lustrini e paillettes della self made woman che diventa una ricca star in barba al patriarcato.
La colpa, semmai, è di quelli il cui ruolo imponeva una riflessione critica sulla grande menzogna delle magnifiche sorti e progressive di un mondo fondato sulle influencer, nient'altro che una versione più sfavillante e pervasiva dei vari Giorgi Mastrota che da sempre sbolognano pentole e materassi in tv. La colpa è di giornali, tv, intellettuali, politici, insomma i piani alti, che invece di mettere in guardia tutti e denunciare le storture distopiche di questo presente ipercapitalistico, iperconnesso e iperconsumista, non hanno fatto che accodarsi all'andazzo generale. Non hanno fatto che decantare le virtù supreme di chi fa i soldi perché moltiplica la sua popolarità e moltiplica la sua popolarità perché fa i soldi. Perché oggi il Valore è quello lì, siamo in un regime monopolistico di valori, non ne sono ammessi altri.
La cosa che provoca più amarezza è che a far propria questa visione, specie in Italia, sia stata la sinistra. Guai a toccare le influencer. A quanti alzavano un dito per dire: "Preferirei immaginare per i nostri giovani un domani in cui l'aspirazione prevalente non sia mollare gli studi e fare video sui social per promuovere beni di consumo, ma sfiancarsi di studio e diventare buoni medici, operai qualificati, ingegneri, scienziati, insegnanti, agricoltori di nuova generazione" è stato risposto che siamo in un'altra epoca, e non c'è più spazio per il passatismo. "Okay boomer" ti rispondevano sulle loro bacheche, tutte sintonizzate sulle frequenze del libero e democratico progresso.
L'Italia è sempre stata così. Ama veder ruzzolare a terra le statue venerate fino al giorno prima. E ora gode segretamente dell'effetto domino che sta travolgendo la filosofa del "Pensati libera". Sono magari gli stessi che pubblicamente le hanno sempre innalzato sperticati peana per ringraziarla del suo impegno civile. Oggi legioni di indignati, che si sentono traditi dai loro beniamini dopo le notorie vicende del pandoro e mentre l'azione dei tribunali si intensifica, non trovano altro modo per esprimere la loro protesta che togliere il proprio like ai Ferragnez.
Un dato fattuale che fa piangere almeno quanto fa ridere.