Covid, populismo e democrazia: la politica vista dal Pontefice
di Gian Marco Di Cicco
Nel corso degli ultimi anni, la civiltà mondiale sta vivendo una serie di crisi sul piano politico, economico, sociale e ideologico. Il notevole numero di sollecitazioni negative, su vari livelli, ha coinvolto tutti i Paesi del globo e i problemi si sono accentuati soprattutto all'indomani della crisi pandemica del Covid - 19. La proliferazione del virus ha evidenziato le falle dei sistemi statali, in quanto non tutte le nazioni del mondo sono riuscite ad affrontare problematiche sanitarie legate ad una necessità importante sul piano dell'ospedalizzazione di massa e non tutte le Potenze mondiali si sono dimostrate capaci di fronteggiare il virus cinese.
Da questo presupposto, ne è nata una discrasia tra i popoli della Terra, in quanto la pandemia ha delegittimato qualsiasi forma di intervento sanitario che non tenga conto degli interessi economici. Di conseguenza, gli Stati più svantaggiati stanno vivendo in maniera più negativa gli effetti della pandemia mondiale, sotto diversi punti di vista. Sul piano politologico, questa realtà si può tradurre nella crisi delle principali istituzioni democratiche del mondo occidentale poiché, una sempre crescente opposizione alle forze governative legittimate da criteri costituzionali legata ad una fragilità intrinseca al sistema democratico di uno Stato può far sorgere delle inevitabili e perenni falle nella condotta amministrativa delle autorità e rispetto al buon andamento della "cosa pubblica".
Ciò incide sul piano partitico, in particolar modo, rispetto a figure di leadership populista che approfittano delle carenze del premier al governo per indurre la popolazione verso linee politiche controverse e dannose ad una coerente linea democratica. Partendo da presupposti informativi e comunicativi errati, l'opinione pubblica è indotta a seguire il leader populista perché le necessità economiche o il contesto sociale spingono i cittadini ad avere fiducia in ciò che si palesa come utile e non come necessario o concretamente valido, sul piano delle risorse o delle prospettive di buona qualità della vita. In questo scenario, è utile soffermarsi sul messaggio del Papa. Egli, da tempo, si sta esprimendo sulla tutela e sulla salvaguardia delle istituzioni democratiche sia nei Paesi più industrializzati, affinché vengano promosse iniziative per i soggetti più bisognosi di tutele, sia negli Stati in via di sviluppo, perché l'emergenza pandemica non rappresenti il capro espiatorio rispetto ad una decelerazione del progresso economico o rispetto alla considerazione di iniziative legislative valide a debellare il virus.
"La democrazia è un tesoro che va custodito", ha affermato Papa Francesco, rilasciando due interviste alla stampa italiana, mentre si trovava sull'aereo che lo ha riportato a Roma da Atene, al termine del suo ultimo viaggio apostolico in Grecia, lo scorso 6 dicembre. Il Sommo Pontefice ha parlato di politica per lanciare un segnale ai governi nazionali: "La democrazia è un tesoro di civiltà e va custodita, non solo da una entità superiore ma anche negli stessi Paesi. Contro la democrazia oggi vedo due pericoli. Il primo è quello dei populismi che stanno qua e là e incominciano a mostrare le unghie. Penso a un grande populismo del secolo scorso, il nazismo, che difendendo i valori nazionali, così diceva, è riuscito ad annientare la vita democratica e a diventare una dittatura, con la morte della gente. Stiamo attenti che i governi - non dico di sinistra o di destra - non scivolino su questa strada dei populismi che non hanno niente a che vedere con il popolarismo, che è l'espressone dei popoli liberi, con la propria identità, folklore, arte". Poi precisa: "Un secondo pericolo si ha quando si sacrificano i valori nazionali, li si annacquano in un "impero", una specie di governo sovranazionale.
C'è un romanzo scritto all'inizio del Novecento da Robert Hug Benson, "Il padrone del mondo", che sogna il futuro in un governo internazionale che, con misure economiche e politiche, governa tutti gli altri Paesi. Quando si dà questo tipo di governo si perde la libertà". Nell'intervista, Jorge Mario Bergoglio parla anche dei migranti: "Se avessi davanti un governante che impedisce l'immigrazione con la chiusura delle frontiere e con i fili spinati gli direi: pensa al tempo in cui tu fosti migrante e non ti lasciarono entrare, volevi scappare (...) Chi costruisce muri perde il senso della propria storia, di quando lui stesso era schiavo in un altro Paese. Coloro che costruisco muri hanno questa esperienza dell'essere stati schiavi. Ma i governi devono governare e se arriva un'ondata migratoria non si governa più? Ogni governo deve dire chiaramente quanti migranti può ricevere, è un suo diritto, ma nello stesso tempo i migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati. Se un governo non può fare questo deve entrare in dialogo con altri Paesi".
Come nello stile di Francesco, che è solito mettere a fuoco le preoccupazioni ma indica anche gli aggiustamenti possibili e auspicabili, suggerisce: "Il rimedio a ciò non sta nella ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità, nella proclamazione di promesse impossibili o nell'adesione ad astratte colonizzazioni ideologiche, ma sta nella buona politica. Perché la politica è cosa buona e tale deve essere nella pratica, in quanto responsabilità somma del cittadino, in quanto "arte del bene comune". Affinché il bene sia davvero partecipato, un'attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più deboli. Questa è la direzione da seguire". Il Papa aggiunge, citando De Gasperi, uno dei padri fondatori dell'Europa, laddove - nel discorso tenuto a Milano il 23 aprile 1949 - indicava questa strada come antidoto alle polarizzazioni che animano la democrazia ma rischiano di esasperarla: "Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale".