Caterina da Siena: un'audacia che interroga e affascina ancora
di Vera Mocella
Caterina da Siena morì il 29 aprile 1380, a Roma, sembra per le conseguenze di un attacco cardiaco, ed è sepolta in Santa Maria sopra Minerva. Le cronache narrano che, passando davanti alla sua salma, molti malati siano stati guariti. Illuminante, per comprendere lo straordinario carisma della "mantellata", che emerse durante il processo veneziano di canonizzazione, la testimonianza di fra Simone Neri di Cortona, che durante la peste del 1374, si trovava a Siena: «Era un tempo quello in cui parecchi, per i loro delitti, senza confessione e disperati, andavano incontro alla morte. Appena lo veniva a sapere, la pia madre trascorreva la notte in preghiera per loro con devote invocazioni al Cristo e al mattino di buon'ora si recava al carcere, confortando i disgraziati ed esortandoli a sperare, parlando loro di Dio, e come essi facessero del male a sé stessi, e che se fosse stato possibile volentieri sarebbe morta al loro posto, e così partecipare al celeste convivio. E così, con parole dolci, inteneriva il loro cuore, spingendoli a chiedere il confessore, e quelli non senza grande pentimento, confessavano i loro peccati. E così la pia madre riportava quelle anime perdute a Cristo, che è la via, la verità e la vita. E questo si verificò più volte. Anzi, spesso li accompagnava fino al luogo del supplizio. E una volta inginocchiati al momento del martirio, riceveva i loro resti nelle sue mani e godeva vedendo la sua veste bianca macchiata del loro sangue». Proprio a questo periodo della vita della santa, risalirebbe l'episodio legato a Niccolò Toldo, il nobile perugino condannato a morte agli inizi del giugno 1375, a Siena, per aver cospirato contro la sicurezza dello stato. Negli ultimi momenti, Caterina sarebbe riuscita a fargli superare la disperazione, e a fargli affrontare la morte, in grazia di Dio. Nella sua lettera XXXI, Caterina riferiva l'episodio a Raimondo da Capua. E diceva fra l'altro di aver preso fra le mani la testa del decapitato: «Io sentivo uno giubilo, uno odore del sangue suo, e non era senza l'odore del mio..., e più oltre Riposto che fu, l'anima mia si riposò in pace e in quiete, in tanto odore di sangue che io non potei sostenere di levarmi el sangue, che m'era venuto addosso, di lui».
La figura della santa senese non smette di interrogarci e di affascinarci per la sua audacia, per la sua vita che è una continua, limpida adesione al progetto di Dio su di lei. Donna capace di grandi slanci del cuore, che traspaiono dalle sue lettere affettuose scritte ai suoi figli e alle sue figlie spirituali, anche quando deve redarguirli, ammonirli. Santa a cui Gesù strappa il cuore dal petto, come ci racconta Caterina stessa, per donarle il Suo, in una delle pagine più belle della storia della spiritualità. Mistica intensa e profonda, che trascende i limiti imposti alle donne del suo tempo, tutto il suo essere è proteso verso quell'Amore che non le dà tregua, che invade il suo corpo ed il suo spirito. Donna indomita e fuori dagli schemi, che scrive ai potenti così come ad una umile suora, poiché, agli occhi di Dio, siamo tutti uguali, tutti fratelli. Non sorprende che a questa gracile ragazza, che morirà a soli trentatré anni, il Signore conceda il dono misterioso delle stimmate, così come era accaduto a San Francesco. Ma Caterina è anche donna di pace, scriverà infuocate e vibranti epistole, affinché le lotte intestine tra le varie città, cessino. Non avrà timore di scrivere al Papa, il "dolce Cristo in terra", come lo appellerà nelle sue epistole, per farlo ritornare a Roma. Come scrive Mariateresa Fumagalli: «Quando nel 1370, Urbano lascia Roma, per stabilirsi a Avignone, Caterina ha una visione che riassume e innalza il messaggio delle precedenti: Cristo le apre il petto e sostituisce il cuore della donna con il suo. È il segno di una trasformazione mistica che trasmette a Caterina una energia unica: guidata dal suo Dio interiore, la giovane donna esce dalla sua città natale e affronta il mondo e i potenti della terra con un linguaggio, una sapienza e un coraggio che lei stessa riconosce come «cose nuove». In questi dieci anni, gli ultimi della sua breve vita, avviene qualcosa di prodigioso: Caterina è riconosciuta come profeta e guida del popolo cristiano in un passaggio difficile, al pari di Mosè che aveva traghettato la sua gente attraverso il Mar Rosso. Fino allora il suo compito era stato «convertire i cuori», ma nell'ultimo decennio della vita Caterina vuole convertire e riformare la stessa Chiesa di Avignone, sottomessa non solo al potere dei re francesi, ma anche segnata dalla «temporalità» e dalla lontananza dal vangelo. Il pensiero di Caterina è lucido e veloce, il suo stile singolare, anzi unico».
Non sorprende, dunque, che Caterina Benincasa sia proclamata "dottore della Chiesa", che è un riconoscimento onorifico, che la Chiesa cattolica attribuisce ai santi che hanno mostrato, nella loro vita e, in modo particolare, nelle loro opere, straordinarie capacità nell'illuminare e spiegare la fede e la dottrina, attraverso la diffusione della conoscenza, o tramite il loro contributo alla riflessione teologica, arricchendo, così, il magistero della Chiesa. Illuminanti le parole di Davide Rondoni il quale, a partire dal romanzo di Louis De Wohl, sulla vita di Caterina, così descrive la santa senese: "La piccola donna, scricciolo e guerriera, sta all'incrocio del tempo che va dal ritiro avignonese del Papa [...] fino all'alba livida in cui si intravede in lontananza arrivare la grande lacerazione della Riforma Protestante" (D. Rondoni, Tempi, 2015). Caterina fu scricciolo e guerriera, con lo scopo di tenere in comunione una Chiesa lacerata da lotte intestine e da un panorama politico poco rassicurante. A tal fine, ha ricordato nei suoi scritti senza tempo che il primo modo di essere Comunione è quello di vivere nella Comunione Eucaristica di Gesù, Verbo Incarnato. Ricordiamo nelle Orazioni quando espone il suo grande ardore Eucaristico: «Che cibo è questo? Cibo degli angeli, somma ed eterna purezza; perciò richiedi e vuoi tanta purezza dall'anima chi riceve te in questo dolcissimo sacramento che, se fosse possibile che la natura angelica - che non ha bisogno di purificazione - si purificasse, essa avrebbe bisogno di purificarsi di fronte a un così grande mistero». Quando muore a Roma il 27 aprile del 1380, stremata dai lunghi digiuni e dalle penitenze inflitte al suo gracile corpo, le sue ultime parole sono «dolce Gesù» e «sangue, sangue, sangue», il sangue di quel Re divino per cui aveva vissuto, sofferto ed amato.