Caterina da Siena: tutta la follia di un Dio che si fa uomo per amore

13.09.2024

Vera Mocella

La vita di Caterina, come abbiamo visto, è costellata di importanti esperienze mistiche. Il suo amore per il "cibo degli angeli" è totalizzante, assoluto. Nella misteriosa particola eucaristica, la giovane vede concretizzarsi ed incarnarsi tutta la follia di un Dio che diviene uomo per amore, soltanto per amore. A questo punto, non c'è più bisogno di cibo, di sostentamento. In un meraviglioso dialogo tra innamorati, Cristo diventa il cibo amato, la vita di Caterina. Più volte redarguita da quello che sarà il suo confessore, il suo padre spirituale, ma anche uno dei suoi figli spirituali più devoti, Raimondo da Capua, nonché suo biografo "ufficiale", la giovane santa si sottoponeva a dure penitenze, come quella del cilicio, che abbandonerà solo dopo molte insistenze, da parte di Raimondo, e solo per santa obbedienza. Nonostante il corpo gracile e minuto, il fascino esercitato da questa ragazza è incredibile. Molti si avvarranno dei suoi preziosi consigli spirituali e potrà vantare, molto presto, un nugolo di fedelissimi, che si rivolgeranno a lei con l'epiteto più profondo e più dolce che la lingua umana conosca, quello di "mamma". Come scrive Davide Rondoni, nella prefazione del testo: "La mia natura è il fuoco", di Louis De Wohl:« Una donna che cresce solo nel suo aspetto di dimissione, e però diventa una formidabile guerriera, capace di mettere in crisi papi e signorie. Strana vicenda, strano movimento. Per così dire, doppio. Un consumarsi, quasi un incenerirsi, per consumazione corporale ed interiore, e intanto un crescere, un ingigantirsi. Uno sparire, e però un piazzarsi al centro degli incroci decisivi della storia. Caterina è il nome di questo apparente paradosso, di questo movimento. Come fu possibile che questa donna analfabeta muovesse il consenso ed il dissenso di potenti e signori, come anche il disprezzo, lo stupore e l'entusiasmo in tanti, fino ad oggi?»

Caterina Benincasa, come si evince dagli scritti dei suoi biografi, si nutriva unicamente di pane nero ed erbe amare, dormiva solo mezz'ora per notte, e si flagellava. Entrò, a quanto pare, volontariamente nell'anoressia e, malgrado l'opposizione del suo confessore, digiunò, a partire dalla Quaresima, per due mesi e mezzo. Dopo di che il suo corpo, abituato al digiuno, rifiutò il cibo: se mangiava qualcosa stava male, con crisi che finivano con il logorarle, ancora di più, il corpo gracile, minato dall'astinenza dal cibo. Alle preoccupazioni della famiglia e del confessore, rispondeva che Gesù stesso, nelle sue visioni, le aveva detto che sarebbe vissuta «in modo straordinario». Non poteva però vivere senza l'Eucaristia e diceva: «Dio mi sazia talmente che mi è impossibile desiderare qualsiasi tipo di cibo materiale». Quando il suo confessore le ordinò di prendere cibo ogni giorno, e di non tener conto delle visioni che sembrassero prescriverle il contrario, Caterina ci provò, ma rigettava tutto con grandi sofferenze. Il suo digiuno totale è attestato nella bolla di canonizzazione. Così scrive il suo biografo, il beato Raimondo da Capua: «La vergine di Cristo languiva d'amore per Lui, e non ci aveva altro rimedio che il pianto dell'anima e del corpo. Ogni momento eran sospiri e lacrime; ma neppure così si alleggerivano le sue pene. Allora il Signore le ispirò di recarsi frequentemente all'altare di Dio, e di prendere quanto più spesso potesse dalle mani del sacerdote il Nostro Signor Gesù Cristo nel Sacramento, affinché gustasse, almeno sacramentalmente durante il cammino della vita, Colui del quale non poteva ancora saziarsi, come bramava, nel cielo. Ma ciò fu cagione di più grande amore» (Legenda maior 166).

Il Signore, in un'estasi dopo una comunione, le rivelò quello che avviene all'anima che si comunica degnamente: «Guarda, o carissima figliuola, in quanta eccellenza si trovi l'anima, che riceve come si deve questo pane di vita, cibo degli angeli. Ricevendo questo sacramento, sta in me ed io in lei. Come il pesce sta nel mare e il mare nel pesce, così io sto nell'anima e l'anima in me, mare pacifico. Nell'anima rimane la grazia, perché, avendo ricevuto questo pane di vita in grazia, questa rimane dopo che è stata consumata la specie del pane. Io vi lascio l'impronta della mia grazia, come l'impronta del suggello che si pone sopra la cera calda: levandosi il suggello, vi rimane la sua impronta. Così nell'anima rimane la virtù di questo sacramento, vi rimane, cioè, il caldo della divina carità» (Il Dialogo della divina Provvidenza, 112).

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